Cinema, il viaggio di Elia tra Marocco, Brescia e Cannes
A Cannes il cinema è sempre protagonista. Indipendentemente dall’appuntamento di maggio con il prestigioso festival francese conosciuto in tutto il mondo, esiste un concorso dedicato ai cortometraggi, che si terrà dall’1 al 4 settembre: si chiama «Cannes Short Film Fest» e tra i titoli selezionati per la prossima edizione c’è il brillante «Gaiwan» del bresciano Elia Moutamid.
La storia, raccontata in modo incisivo in tre minuti, è quella di un incontro/scontro tra culture, che avviene nella scenografica cornice del cimitero monumentale Vantiniano, nella nostra città: due sconosciuti (il primo orientale, l’altro occidentale) si confrontano sui diversi modi di rendere omaggio ai propri defunti.
Una sorta di parabola sull’integrazione, che negli ultimi mesi si è trasformata in un volano per il successo del regista trentaduenne, finalista in venti concorsi nazionali per cortometraggi, presente allo «Short Film Corner» dell’ultimo Festival di Cannes (si tratta di un’area allestita per favorire lo sviluppo del mercato degli audiovisivi) ed invitato, in Bulgaria, per il «Quarantine Film Festival».
Per Elia - originario di Fès, in Marocco, trasferitosi con i genitori all’età di due mesi a Rovato, dove tuttora risiede - sarà una grande soddisfazione la proiezione, prevista in novembre, al Festival «Cinéma et Migrations» di Agadir, la più importante kermesse cinematografica marocchina.
Moutamid, portando sullo schermo una storia che aiuta ad abbattere i pregiudizi, sta anche dando al patrimonio architettonico bresciano una grande visibilità. Che effetto le fanno tutti questi consensi?
Mi fa molto piacere, soprattutto per il mio team: le atmosfere suggestive del Cimitero Vantiniano, che è stato concesso grazie alla Film Commission del Comune, sono state rese al meglio dal direttore della fotografia Gianluca Ceresoli e dal montatore Mauro Rodella.
Vede un futuro roseo per le produzioni cinematografiche realizzate sul territorio bresciano?
Nella nostra città ci sono tanti talenti pronti a sviluppare il settore degli audiovisivi. Bisogna solo mettersi d’impegno. Agli amici dico sempre: basta smettere di chiacchierare con il pirlo in mano, atteggiandosi ad intellettuali, e iniziare a concretizzare le idee.
Quale è stata la principale difficoltà sul set di «Gaiwan»?
Trovare un cinese che parlasse italiano e dimostrasse circa cinquant’anni: dopo tanti casting, per fortuna ho individuato Ge Keqiang, campione di ping pong e allenatore della società Tennis Tavolo «Marco Polo» di Brescia.
Il prossimo film?
Sarà una docu-fiction girata tra Italia e Marocco. Per la prima volta entrerò in scena e giocherò con la mia doppia identità: sono un italiano musulmano, che parla sia dialetto bresciano che arabo. Voglio indagare i luoghi comuni delle due culture in modo grottesco e sperimentale.
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