Cultura

Cartoline per George Floyd: tutti contro razzismo e indifferenza

Giangiacomo Rocco di Torrepadula: «L’unica arma è la cultura e io ho scelto la fotografia concettuale»
Le cartoline ideate da Giangiacomo Rocco di Torrepadula per il contributo di riflessione e di memoria
Le cartoline ideate da Giangiacomo Rocco di Torrepadula per il contributo di riflessione e di memoria
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Tu lo sai cosa vuol dire nascere con la pelle nera? No, se non ci sei nato non lo sai, e non puoi nemmeno immaginartelo. Non è possibile comprendere cosa provi chi porta impresso un marchio impossibile da nascondere e che suscita negli altri un’immediata ansia data dalla rilevazione mentale di una diversità. Le neuroscienze ci mostrano, infatti, che il diverso attiva nel nostro cervello una connessione neurale di possibile pericolo, ma sapere che in noi ci sono inconsce cause strutturali non giustifica in alcun modo comportamenti violenti come quelli del drammatico caso che oggi, nell’anniversario, ricordiamo. Uno per tanti. Uno per tutti.

È il 25 maggio del 2020, sono da poco passate le 8 di sera a Minneapolis, nel Minnesota, quando George Floyd, afroamericano di 46 anni, reo sospetto di aver pagato un pacchetto di sigarette con una banconota falsa da 20 dollari, viene deliberatamente soffocato da Derek Michael Chauvin, un ufficiale della polizia americana, che per 9 minuti gli preme con glaciale indifferenza il ginocchio contro il collo.

Viene da chiedersi: se la pelle di George Floyd fosse stata bianca, sarebbe stato ucciso per 20 rotolini di tabacco o 20 dollari che siano? Cosa possiamo fare noi, in concreto, per questa causa? La proposta viene da Giangiacomo Rocco di Torrepadula, napoletano di nascita e bresciano di adozione, un artista che ha deciso di agire utilizzando le leve dell’arte e della cultura per diffondere consapevolezza su questo problema. L’opposto dell’amore nel nostro cervello - dice - non è l’odio, che sfrutta connessioni neurali simili, ma l’indifferenza; ed è la stessa indifferenza a consentire tutti i genocidi, come ci hanno insegnato attivisti quali Martin Luther King e Frantz Fanon, nonché qui in Italia l’onorevole Liliana Segre. Noi possiamo credere di essere lontani da tutto questo, ma non è sempre vero perché siamo condizionati dai tanti messaggi di odio cui ogni giorno assistiamo, anche solo passivamente. Dal rapporto sull’odio di Amnesty International apprendiamo che in Italia i termini più spesso associati ai migranti sono: clandestini, irregolari, profughi, stranieri, risorse, bestie, vermi. Il martellamento di queste parole non solo crea nel nostro cervello associazioni implicite, ma ci attiva l’insula, l’area cerebrale deputata al disgusto fisico, che ci porterà a non vedere più persone, ma «bestie».

Giangiacomo Rocco di Torrepadula ha creato il progetto artistico BlackLivesMatters per indagare su questi temi, sia dal punto di vista sociologico/storico sia con il supporto delle nuove neuroscienze cognitive, che utilizza per esplorare i meccanismi che possono portare a stereotipi, pregiudizi e crimini. La denominazione differisce solo per la «s» finale dal nome del movimento Black Lives Matter che in America sostiene gli afroamericani contro i soprusi (letteralmente «le vite dei neri contano»), come a dire, con l’aggiunta della «s» finale, che le vite nere non solo contano, ma vanno anche raccontate, perché sono storie che contano.

Un anno fa anche Giangiacomo ha visto il filmato dell’omicidio di George Floyd: In quegli assurdi minuti l’ufficiale ha privato Floyd della sua vita, della sua dignità, persino della sua decenza. Ha calpestato la sua anima con tutta la fiamma interiore, facendola cadere a terra e soffocandola finché non è rimasto nulla, di quella fiamma. Nemmeno il suo fumo. Vedendo quelle immagini, ho subito pensato alla sequenza di una candela che viene forzatamente spenta con un soffio violento che ne toglie la fiamma e ogni residuo fumo. Quella stessa sera ho scattato 9 fotografie, dove ogni inquadratura rappresenta uno di quei drammatici 9 minuti. Ma Giangiacomo non si è fermato a questo. L’immagine evocativa degli ultimi respiri di Floyd è diventata una cartolina e un modo concreto per agire.

Dando un indirizzo fisico a Giangiacomo (mail a gg@giangiacomorocco.com o modulo di contatto dal sito www.giangiacomorocco.com/a-postcard-for-floyd/), lui ci invierà per posta la cartolina (pre-indirizzata) che rappresenta l’ultimo soffio vitale di Floyd; noi scriveremo sul retro della stessa le parole che l’immagine ci suggerirà e la spediremo, dedicando così attenzione ed energia a questa causa. In un mondo digitale dove i messaggi arrivano prima dei pensieri, il viaggio della cartolina è lento ed è un modo per riappropriarsi del tempo tolto a Floyd e, inoltre, con il suo inevitabile rovinarsi, la cartolina simboleggia anche la sofferenza e l’umiliazione subite dall’uomo. «L’unica arma per affrontare il razzismo - dice Giangiacomo - è la cultura, e io ho scelto la fotografia concettuale perché non usa la violenza e comporta un ragionamento; tu vedi il fumo della candela e devi cercare di capire cosa significhi e questo apre nel tuo cervello nuove connessioni neurali che danno ossigeno alla comprensione».

A chi si rivolge l’iniziativa? A tutti. In particolare alle università che formano i dirigenti del domani, perché gli studenti imparino da subito che la differenza è ricchezza, che il cuore batte in ogni petto allo stesso modo e che l’unico vero problema dell’uomo non è il colore della pelle, ma la paura. In tutte le sue forme. E la paura esiste solo laddove ci sono le divisioni che annullano l’empatia, cioè la capacità di provare ciò che prova l’altro. L’obiettivo di questa iniziativa è rendere l’omicidio di Floyd, prima che un fatto di cronaca nera, un fatto di luce, perché in ogni cuore arde una fiammella, ed è solo unendo le singole fiamme che possiamo diventare fuoco ed incendiare il mondo con la luce del nostro amore. Perché laddove l’amore esplode, non c’è più paura.

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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