Carofiglio a Brescia narra il Guerrieri de «La misura del tempo»
Una chiacchierata divertente e stimolante; parole argute e ironia, citazioni e quell'andare oltre il romanzo guardando all'attualità. C'è stato tutto questo ieri, nell'auditorium di Confartigianato, nell'incontro con Gianrico Carofiglio. Al centro dell'incontro «La misura del tempo», il nuovo legal thriller con protagonista l'avvocato Guido Guerrieri. Uno spunto però per allargare il cerchio.
Puntuale, Carofiglio entra in un auditorium gremito già un quarto d'ora prima dell'inizio. Camicia e giacca, barba incolta ma curata e quell'orologio portato sopra il polsino che ricorda l'Avvocato e un certo tipo di eleganza, Carofiglio è capace di mettere i presenti subito a loro agio raccontando di un recente sberleffo ricevuto per strada, a Roma, da uno sconosciuto e di un'intervista con una giornalista sprovveduta, soprattutto di humor.
Poi si entra nel vivo e, incalzato dal nostro Claudio Baroni e da Emilio Del Bono, che si dimostra un suo appassionato lettore, racconta la genesi de «La misura del tempo» e di come abbia voluto prima raccontare la storia di una persona che torna dal passato perché è «affascinato dai percorsi tortuosi della vita» e da chi da giovane prometteva un futuro sfavillante e poi da adulto si è dimostrato il contrario o viceversa. E a questo punto arriva il nostro avvocato Guerrieri, personaggio talmente caro al suo autore da «non poterne scrivere ogni anno».
Sottolinea che tutto ciò che c'è in un romanzo deve essere utile, anche solo ad inquadrare un personaggio, come la lezione ai giovani magistrati che tiene Guerrieri o la ricetta degli spaghetti all'assassino.
E qui allora si parla del patto narrativo che Carofiglio stipula con i suoi lettori: «Se lo scrittore - spiega - sceglie di scrivere un romanzo realista deve aderire alla realtà, perché se non lo fai il lettore smette di leggere. Ed è quello che succede a me - ammette - quando leggo alcuni romanzi e trovo errori dal punto di vista procedurale».
«La misura del tempo» è la doppia scommessa dell'ex magistrato: «Letteraria e narrativa, quest'ultima perché scommetto che ti appassionerà; letteraria perché la lingua del diritto diventi strumento per creare letteratura».
E qui Carofiglio non si trattiene e racconta di Lucarelli che gli ha rivelato come porti a lezione i suoi libri perché ciò che il barese scrive è ciò che lui dice ai suoi studenti di non fare, ma con lui funziona: «Questo è il miglior complimento che ho ricevuto - racconta soddisfatto - le regole di possono sovvertire quando le si conosce».
E come non parlare di Bari (qui ad incalzare il nostro scrittore è, guarda caso, Del Bono): «Quando inizi a creare un mondo - spiega Carofiglio - ti aggrappi a ciò che conosci. La mia Bari esiste, si riconoscono luoghi e personaggi. Poi ci sono botole - dice sorridendo divertito - che ci portano in un mondo fantastico, là sospendi per un attimo le regole, come l'Osteria del caffelatte, la libreria notturna che in realtà non esiste».
Anche il linguaggio, la parola, non è lasciata al caso perché «le parole sono bisturi, possono ferire o curare. Non sono oggetti contundenti da lanciare». E qui non si può non pensare alla politica, alle sardine e agli haters: «Lo diceva Confucio - continua - quando le parole perdono di significato le persone perdono la libertà; sudditi sono i destinatari di un linguaggio manipolatorio». E poi cita Rosa Luxemburg: «Il primo gesto rivoluzionario è dare nome giusto alle cose».
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