Cultura

Carlo Rovelli ai giovani fisici teorici: «Fatevi condurre dalla curiosità»

Domani al Teatro Grande i bresciani avranno l'opportunità di ascoltarlo dialogare con Guido Tonelli, coordinatore al Cern di Ginevra
Carlo Rovelli - © www.giornaledibrescia.it
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Martedì alle 18 nel Teatro Grande i bresciani avranno l’opportunità di veder dialogare tra loro due fra i più eminenti scienziati italiani: Carlo Rovelli, il fisico teorico autore di bestseller tradotti in tutto il mondo, e Guido Tonelli, coordinatore al Cern di Ginevra del gruppo di ricercatori che rivelarono l’esistenza del bosone di Higgs. (Carlo Rovelli e Guido Tonelli dialogheranno su «Che cosa c’è dietro alle cose?», l’ingresso (dalle 17.30) è libero fino a esaurimento posti; si può prenotare il biglietto su www.blaumannfoundation.org. All’incontro, condotto dal giornalista della Rai Marco Motta, parteciperà l’artista Michelangelo Pistoletto. Sarà presente Emily Christine Adlam, la prima vincitrice del premio internazionale di 20mila euro assegnato a giovani scienziati autori di «un lavoro scientifico o filosofico rilevante per la nostra comprensione concettuale di come funziona la Natura al livello più elementare finora conosciuto»).

L’occasione è offerta dalla prima edizione del Premio Blaumann, indetto dalla Fondazione Blaumann nata a Brescia dalla visione illuminata dell’imprenditore Giovanni Franceschini, per sostenere con borse di ricerca e studio l’attività di «giovani fisici teorici che ambiscano ad esplorare idee originali e coraggiose sui fondamenti della nostra comprensione del mondo fisico». 

Rovelli e Tonelli fanno parte del Comitato scientifico della Fondazione. Sul palco del Grande dialogheranno su «Che cosa c’è dietro alle cose», in un incontro al quale parteciperà anche l’artista Michelangelo Pistoletto. Carlo Rovelli ha risposto via mail ad alcune domande, per un’intervista concessa in esclusiva al nostro giornale.

Prof. Rovelli: la realtà che vede la fisica quantistica è diversa da quella che percepiamo con i cinque sensi?

È molto diversa, ma non ci deve stupire, perché siamo abituati a queste differenze. Se vediamo una montagna da lontano, vediamo solo un cono bigio. Quella è la montagna, reale. Ma se ci avviciniamo, vediamo che è fatta di valli e creste, di foreste e rocce. Se ci avviciniamo ancora a una foresta, vediamo che è fatta di alberi, e se ci avviciniamo ancora su un tronco di albero ci sono strutture complicate, e magari una formica che a sua volta ha complicate antenne, e se guardiamo le antenne con una lente vediamo ancora cose nuove. La realtà è stratificata e ogni strato è pieno di sorprese e meraviglie. Non ci dobbiamo quindi stupire se ci sono molti altri strati oltre a quelli più visibili.

Lei spiega che le cose, e le loro proprietà, «esistono solo nell’interazione con altre cose». Sono le relazioni a «creare» la realtà?

In un certo senso sì, perché quello che usualmente chiamiamo realtà non è altro che il modo in cui qualcosa interagisce con noi. E questo non vale solo per noi esseri senzienti. Anche rispetto a un lago, la realtà di un sasso che cade è il modo in cui il sasso, interagendo, sposta l’acqua. Anche quando immaginiamo qualcosa «che non c’è» stiamo di fatto interagendo con una nostra fantasia.

Così non è più possibile una visione oggettiva delle cose?

Una visione oggettiva è possibile – la usiamo spesso –, ma alla fine risulta sempre un po’ insufficiente e non ci aiuta a capire meglio. Per esempio, possiamo immaginare che le cose hanno «oggettivamente» un colore. Ma se poi ci chiediamo perché tutti i colori sono combinazioni di tre colori elementari, non sappiamo rispondere. Invece se capiamo che il colore viene dall’interazione fra le cose, la luce e i nostri occhi, capiamo subito che il fatto che ci sono tre colori elementari è semplicemente dovuto al fatto che i nostri occhi hanno tre tipi di cellule che reagiscono a certe tre finestre di lunghezze d’onda della luce. Questo ci mostra chiaramente che il colore non è qualcosa di oggettivo negli oggetti colorati, è qualcosa che comprendiamo nell’interazione fra questi, la luce e gli occhi. Tutta la fisica quantistica si comprende meglio in termini di interazione che non in termini di oggetti con delle proprietà.

Il suo ultimo libro, edito da Adelphi, ipotizza l’esistenza dei «Buchi bianchi». Cosa sono?

Vediamo i buchi neri nel cielo. Vediamo materia che vi cade dentro. Non sappiamo cosa succeda poi a questa materia. Ho cercato di usare la teoria su cui ho lavorato per anni, la gravità quantistica a loop, per rispondere a questa domanda. La risposta che emerge, mi sembra, è che all’interno dei buchi neri ci sia a un certo momento un rimbalzo che trasformi i buchi neri in buchi bianchi, che sono strutture da cui si può uscire.

La conferma di questa teoria potrebbe segnare il punto d’incontro tra Einstein e la meccanica quantistica, quella «gravità quantistica» che lei ricerca?

Sì, i buchi bianchi potrebbero confermare la teoria, e la radicale revisione delle nozioni di spazio e tempo su cui essa si basa. Insomma, un altro, ulteriore, livello di realtà, più in giù delle antenne della formica... Nel libro si parla anche di passione per la ricerca.

Che suggerimenti darebbe ai giovani che la Fondazione Blaumann incoraggia a proseguire nella ricerca scientifica?

Consiglierei loro di non farsi condurre da strategie su come avere un posto all’università, come pubblicare un articolo, o a quale gruppo di ricerca appoggiarsi. Invece, farsi condurre dalla curiosità, dalla intelligenza, dalla scienza, dalle domande aperte.

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