Carlo Lucarelli: «La paura è una forma di conoscenza»
«Se dovessi scegliere un’unica forma d’espressione sarebbe di certo la scrittura. L’attività che prediligo è quella di scrittore di romanzi, me ne accorgo ogni volta che decido di narrare qualcosa, perché organizzo sempre gli argomenti in capitoli. Adoro, tuttavia, sperimentare nuovi linguaggi, in particolare audiovisivi».
Carlo Lucarelli - pur confrontandosi da sempre con diversi mezzi di comunicazione, dalla tv al cinema, passando per il fumetto e la radio - non ha dubbi riguardo alla sua passione principale. Tant’è vero che ha già iniziato a trasmettere l’amore per l’arte del raccontare alle sue figlie, due gemelle di sei anni, nel più classico dei modi, ossia con le fiabe della buonanotte.
«E loro si divertono ad inventarne il finale», confida il giallista mentre si prepara per il FilmFestival del Garda (dal 27 maggio al 3 giugno) in veste di padrino e curatore della nuova sezione «Carta bianca a Carlo Lucarelli - Intrighi italiani», che nel titolo riprende il suo esordio letterario, nel 1990, con «Carta Bianca», primo romanzo noir della serie dedicata al Commissario De Luca.
L’incontro dell’autore con il pubblico è in programma sabato prossimo, 2 giugno, a San Felice del Benaco, dove introdurrà il film «Anime Nere» di Francesco Munzi (Piazza Municipio, alle 21). «Con me - spiega Lucarelli - ci sarà la sceneggiatrice Sofia Assirelli, che mi affianca nello sviluppo di progetti per la televisione, come "La porta rossa" (12 puntate in onda su Rai 2 nel 2017, ndr) della quale stiamo scrivendo la seconda stagione».
Carlo, il suo muoversi con naturalezza tra i diversi mass media sembra quasi una dote innata, una predestinazione. A tal proposito, è vera la storia della sua parentela con l’inventore Antonio Meucci, che giocò un ruolo fondamentale nella nascita del telefono?
Proprio così, mia nonna, infatti, era una Meucci. In famiglia se ne è sempre parlato, Antonio nell’Ottocento fu un rivoluzionario che scappò dalla Toscana, visse a Cuba e negli Stati Uniti, dove ospitò per un lungo periodo Garibaldi: insomma, una vita da grande romanzo, durante la quale ideò anche un dettaglio peculiare per la costruzione del telefono, brevettato poi da Alexander Graham Bell.
Le è capitato di tracciare un ritratto di Meucci, magari per descriverlo alle sue bambine?
Non ancora, prima erano troppo piccole, ma pensandoci adesso hanno l’età giusta per entusiasmarsi mentre scoprono da dove nascono gli oggetti che oggi sono parte della quotidianità, come il telefono. Ottimo: stasera so che fiaba raccontare.
Lei è molto amato dal pubblico: in tv riesce a risultare rassicurante anche quando parla di cose tremende, come delitti e bande criminali. Qual è il segreto di questa alchimia? È frutto sia del mio tono pacato, sia di una ricerca stilistica: le storie complicate vanno raccontate selezionandone i momenti salienti e mettendo al bando i particolari truculenti se non utili a spiegare i fatti. In «Blu notte», ad esempio, avevo deciso di non usare mai la parola «cadavere», in favore del nome della vittima.
Da esperto analista e narratore dei meccanismi del mistero: che cos’è, per lei, la paura?
È una forma di conoscenza. Se usata bene la paura non lascia indifferenti, può spingere alla ricerca dei motivi che la generano, anche da bambini. Proprio per loro, infatti, ho scritto "Thomas e le gemelle ovvero la strana faccenda del mostro con gli occhi di luce gialla".
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