Caravaggio, Sgarbi difende gli studiosi bresciani
Caravaggio? Un contemporaneo. In grado di parlare agli uomini d'oggi, ma soprattutto di suscitare polemiche. Come è accaduto nei mesi scorsi attorno alla controversa attribuzione al celebre pittore di un centinaio di disegni del «fondo Peterzano» - l'artista del tardo '500 nella cui bottega il Merisi fece l'apprendistato negli anni dell'adolescenza milanese - da parte degli studiosi bresciani Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli.
E la polemica è pane per i denti di Vittorio Sgarbi, ieri ospite in Santa Giulia dell'Inner Wheel Vittoria Alata per presentare l'ultimo libro «L'arte è contemporanea» (Bompiani). Sgarbi ha preso le difese dei due studiosi bresciani (Bernardelli era seduto al tavolo dei relatori) «indipendenti, e per questo attaccati da un mondo accademico che li ha voluti mortificare». Di più: Sgarbi (ammettendo però di non aver ancora aperto l'e-book pubblicato dai bresciani) ha rivendicato per sé, come curatore della mostra milanese del 2011 sui precedenti caravaggeschi, una sorta di suggestione sulle ricerche («i cui confini ancora non conosco») sull'opera del Merisi prima dell'arrivo a Roma, e annunciato la prossima uscita di un suo libro dedicato a Caravaggio, in cui a Bernardelli e Conconi «sarà affidato un capitolo in cui daranno conto degli studi sui disegni».
«Nel fondo molte immagini rivelano una sensibilità caravaggesca. Che poi si tratti di un Peterzano più grande di quello che conosciamo, o di un Caravaggio sulla scia del maestro, l'importante è discutere della proposta, non tagliare le gambe agli studiosi. Credo che sia del mio parere anche Mina Gregori, la decana degli studi su Caravaggio». E poco importa che la professoressa, da noi interpellata ieri per telefono, dichiari la propria ferma convinzione che quei disegni non siano del Merisi.
La difesa dei due studiosi bresciani diventa per Sgarbi l'occasione per sparare a zero sul mondo accademico italiano «cricca di complottisti», sull'establishment dei critici d'arte «militanti di sinistra», giù giù fino agli attuali amministratori bresciani, sindaco Paroli e assessore Arcai, che se con Caravaggio c'entrano poco, sono colpevoli di averlo chiamato a collaborare con il Comune, negli anni del dopo-Goldin, e di averlo poi scaricato «preferendomi un pirla, Brunello: sono pirla anche loro».
E via in crescendo, sempre sul filo della battuta dietro cui si nasconde l'affondo feroce: contro i curatori della mostra bresciana su Vincenzo Foppa («hanno sequestrato un grande pittore cristiano per farlo diventare un militante di sinistra»), contro i «pierini del Sole 24Ore («contestano l'attribuzione a Caravaggio dei disegni, ma loro come Caravaggio hanno pubblicato solo pochi mesi fa un Sant'Agostino che è falso»), contro i colleghi appartenenti ad un'accademia che invece di avvicinare, allontana l'arte dalla gente. Il pubblico - l'auditorium è gremito - ride e applaude. Sgarbi tocca le corde giuste.
Come quando si avventura nel labirinto dell'arte contemporanea, per spiegare il mistero di un linguaggio che non è più in grado di parlare alla gente. La contemporaneità, spiega, è una questione di tempo e di percezione. E sono più contemporanei Caravaggio, appunto («il Bossi del '600, partito dalla Lombardia per deflagrare a Roma») o i Bronzi di Riace («due ragazzoni nati alla nostra conoscenza trent'anni fa, belli come Gabriel Garko, piacerebbero a Lele Mora») dell'«arte escrementizia» degli ultimi cento anni: l'orinatoio di Duchamp, la merda d'artista di Piero Manzoni, tanto per citare solo alcuni degli esempi che il relatore si è compiaciuto di portare seminando risatine imbarazzate tra le signore in platea.
«Fino a che punto l'arte contemporanea ci riguarda?» si chiede Sgarbi. La risposta sta in quegli autori «ancora in grado di parlarci, di coinvolgerci. Ieri erano Raffaello, Caravaggio, oggi sono Bergomi, Lopez Garcia, Donizetti, Cremonini...». Molti dei quali entrati lo scorso anno nel gran serraglio del Padiglione Italia curato alla Biennale di Venezia dal critico ferrarese.
Sgarbi c'è e ci fa, attacca i suoi detrattori e difende il proprio operato, mescola buon senso comune e provocazione. E non si capisce se la polemica sui disegni di Caravaggio sia un grimaldello abilmente usato per scardinare le porte arrugginite di un sistema, o un mezzo per levarsi solo qualche sassolino dalle scarpe.
Giovanna Capretti
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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