Caparezza s’impone con hip hop dance e psichedelia
Dopo re Ben Harper, il principe Caparezza. Una gerarchia a priori, che la terza giornata della Festa di Radio Onda d’Urto probabilmente sovverte nei numeri, perché il pubblico da varie migliaia di unità che ha accolto ieri sera l’artista pugliese (amico storico dell’emittente antagonista) pareva ancor più folto di quello confluito in via Serenissima giovedì, per l’americano. Come d’abitudine, il folletto di Molfetta regala uno spettacolo dalle molte forme, che pone al centro le canzoni per poi declinarsi in messinscena teatrale, balletto, invenzione pirotecnica, folgorazione audiovisiva, monologo filosofeggiante o letterario (sulle «foreste del cambiamento», sui riti di passaggio, sull’inadeguatezza all’ascolto della nostra epoca, sull’Orlando ariosteo).
In sintesi: pensiero, emozione, fantasia, divertimento. Sono lontani i tempi in cui si associava Michele Salvemini in arte Caparezza soprattutto ai tormentoni («Fuori dal tunnel» e «Vieni a ballare in Puglia», su tutti): la sua statura di rapper/cantautore è certificata da un filotto di album che hanno lasciato il segno nella musica italiana del secolo in corso. Ma qualche fastidioso strascico dell’equivoco dev’essere rimasto, se in «Canthology» - che è la prima traccia di «Exuvia», l’ultimo disco, e che ha aperto il live - «testa riccia» canta, furiosamente ironico: «…Tipi che mi chiedono del tunnel, dammi una pala che me lo scavo». Dopo «Fugadà» e l’accenno alla patologia uditiva che gli ha sconvolto l’esistenza (in «Larsen»), Caparezza parla della curiosa svolta nella sua carriera artistica, legata «al casuale incontro milanese con un discografico che mi aveva sentito a Castrocaro, dove non mi aveva considerato (eufemismo) nessuno».
Lo racconta in dettaglio attraverso «Campione dei novanta», quindi con un’altra ventina di brani che provengono per lo più dal disco recente, un’opera che acquista significato nel suo complesso più che nei singoli componenti. Ma accanto a questi - tra cui rifulgono «Contronatura», «Sendero», «Eyes Wide Shut», «Zeit!», «La scelta» - ci sono pure i tormentoni di cui sopra (conservati per i bis) e must irresistibili della casa, quali «Mica Van Gogh», «Una chiave», «China Town», «Vengo dalla luna», «Abiura di me», «Ti fa stare bene». Tra hip hop, psichedelia, accenni dance e digressioni lisergiche, con andamento sostenuto (anche le lunghe intro sono a tutta velocità), Caparezza semina entusiasmo per oltre due ore. E chiude tra applausi prolungati.
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