Cultura

Buon compleanno Dada! A Brescia una collezione unica

Si celebrano domani i cento anni del dadaismo: parla il bresciano Carlo Clerici, che possiede una collezione di 120 opere
  • delle opere dada della Colelzione Campiani
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Quando il 5 febbraio 1916 Dada nacque nella Svizzera neutrale assediata dagli orrori della Grande Guerra, mutò drasticamente le regole del fare artistico e rese di colpo obsoleto il sistema dell’arte occidentale. Ora il movimento compie 100 anni, e li festeggia ponendo l’accento sull’attualità del proprio messaggio, e confermandosi «padre» di molta arte contemporanea come la intendiamo noi oggi. Ne è convinto anche il collezionista bresciano Carlo Clerici, nella cui Collezione sui Campiani sono presenti 120 opere appartenenti a quest’importante stagione artistica.

 


Dott. Clerici, com’è arrivato ad apprezzare e collezionare Dada?
La mia vicenda collezionistica non parte con Dada. All’inizio degli anni Settanta, quando a Brescia aprirono le gallerie d’arte contemporanea di Massimo Minini e di Piero Cavellini, m’interessavo già di arte, e iniziai a frequentarle e a capire cos’era l’arte contemporanea. Eravamo agli inizi di una nuova era: finiva l’epoca in cui si vendevano la Pop Art, Castellani o Fontana, e iniziava un periodo in cui arrivavano cose come l’Arte Povera, da cui molti fuggivano ma che per me furono una gioia. Cominciai così a conoscere ragazzi come Merz, Zorio, Parmiggiani o Paolini: artisti che uscivano da una logica esclusivamente pittorica e dal discorso arte=bravura nel dipingere, o nello scolpire. Tra le prime cose che acquistai ci furono Buren - una tela a righe - e Ben Vautier. Pensandoci ora, c’era moltissimo di dadaista già lì. Due o tre anni dopo mi proposero una collezione già esistente da Arturo Schwarz (storico dell’arte, docente e saggista di origine ebraica, ndr) e acquisii in blocco gran parte di quei lavori. Ci vedevo tantissimo di ciò che m’interessava in quel momento: era come acquistare il «padre», quando in casa avevo già il «figlio». Mi servì molto per apprezzare l’arte che venne dopo, così come l’idea delle installazioni.

Reputa fondamentale la presenza di lavori dada all’interno di una collezione d’arte contemporanea?
Fondamentale no. Ma un collezionista d’arte contemporanea può solo provare piacere nell’avere opere dada, anche se è sempre più difficile trovarne qualche pezzo «giusto», poiché ne furono prodotti pochi, e molti sono stati distrutti. Dada mi è servito per capire meglio e apprezzare un certo tipo di arte e di artisti contemporanei. Oggi c’è gente che spende milioni per opere di Boetti, ma come si fa ad apprezzare Boetti senza conoscere il dadaismo? È chiaro che per avere un determinato tipo di collezione occorre conoscere il dadaismo, ma non necessariamente possederlo. Anche perché le opere dada non nascono per essere collezionate, bensì per essere buttate. Ne è un esempio il fatto che alcuni lavori di Man Ray della mia raccolta siano prime edizioni originali, mentre altri sono stati rifatti da lui stesso vent’anni dopo, quando s’accorse che potevano diventare anche oggetti di mercato. Così rifece sculture come «Main Ray», «Poids Plume»... mentre gli originali sono stati buttati.

Chi sono gli eredi attuali del Dada?
Penso siano moltissimi. Gli artisti che usano mezzi diversi per esprimersi, o che addirittura fanno realizzare le opere a terzi, come ha fatto Boetti: quello è dadaismo. Dada è rifiutare l’attività artigianale come opera d’arte, è in tutto ciò che esce dalla logica del quadro. La videoarte in moltissimi casi è espressione dadaista: esprime un pensiero con versi e immagini preesistenti e messe lì. La stessa operazione di lanciare in internet messaggi e immagini, come l’iniziativa Dadaclub.online (si veda il box a fianco, ndr) per avere una risposta da tutto il mondo, è dadaista. Anche il Concettuale è figlio del Dada, infatti mi interessò subito, e l’Arte Povera fece ampio uso dell’oggetto trovato. Artisti come Manzoni sono figli del dadaismo: la «Merda d’artista» non fu concepita per essere venduta ma era una sorta di happening. Secondo Tristan Tzara, il teorico del gruppo, Dada doveva morire nel ’24. Fu così, ma la sua eredità fu raccolta.

C’è un artista, o un lavoro, nella Collezione Campiani a cui si sente più legato?
Non ho preferenze, ma forse l’artista a cui guardo di più è Man Ray. E ho scelto «Patinoire», china su carta di Duchamp, per la copertina della prima edizione del catalogo delle installazioni della mia collezione. L’artista la realizzò a New York, vicino al Rockefeller Center: in primo piano due figure sedute a un caffè, sullo sfondo la gente pattina.

La stagione dadaista verrà celebrata da domani con 34 opere, delle 120 della Collezione Campiani, selezionate dal bresciano Link Art Center for the Art of the Information Age per il progetto «dadaclub.online». Per un anno il sito metterà a disposizione copie digitali di alta qualità delle opere dalla Collezione che, con lo spirito irriverente e sperimentale che caratterizzò Dada, ha concesso l’accesso ai suoi materiali. Chiunque potrà scaricare dal sito immagini e modelli per riutilizzarli nel proprio lavoro e inviare al Link Art Center i risultati ottenuti, che verranno inseriti in una galleria «in progress».

Al termine dell’anno il Link editerà una pubblicazione che documenterà l’intero progetto e i lavori migliori, mentre si lavora all’ipotesi di una mostra allo Spazio Contemporanea di corsetto S. Agata, in città, in cui affiancare gli originali dadaisti ad una selezione di lavori degli artisti che aderiranno al progetto. Tra i nomi di fama mondiale invitati dal Link, figurano Eva e Franco Mattes, Evan Roth e i Jodi

Il Comune di Brescia annuncia inoltre che da ottobre, con la Fondazione Brescia Musei, verrà organizzata una mostra a tema in Santa Giulia. Anche la Notte bianca dell'arte, prevista il primo ottobre, sarà dedicata al dadaismo.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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