Cultura

Bonfanti: «Nei miei monocromi mutazione alchemica e ricerca spirituale»

Milanese d’origini camune l'artista espone alle Stelline lavori recenti, esito della rinuncia al figurativo
Un'opera di Luca Bonfanti
Un'opera di Luca Bonfanti
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Luca Bonfanti è milanese, ma nel cuore ha Ponte di Legno e la Valle Camonica, terra da cui proviene la sua famiglia. Ecco perché è conosciuto a Brescia, città in cui ha tenuto negli anni lezioni e incontri (all’Accademia Santa Giulia). Ora a dedicargli una mostra è un’istituzione della Milano culturale: «RGB. La base» è stata inaugurata alla Fondazione Stelline in Corso Magenta 61 lo scorso 6 dicembre ed è curata da un’altra personalità dell’arte conosciuta a Brescia, Matteo Galbiati, docente d’arte che condivide questa curatela con Alessandra Klimciuk.

«Ho anche tanti amici in città», sorride l’artista. Che prima di addentrarsi nella spiegazione dell’esposizione costituita di tele monocrome vibranti e stratificate ci tiene a sottolineare la peculiarità della mostra, visitabile fino al 7 gennaio a ingresso gratuito (in corso Magenta 61, a Milano, mar-dom 10-20). «Per me - spiega - è una grande soddisfazione. ‘Non hai fatto l’accademia’, mi dicevano, eppure sono arrivato qui, anche se tramite un’altra via».

A questo proposito: la sua è pittura non figurativa a cui è arrivato da solo, definendosi «alchimista del colore»...

«Il mio è un percorso da autodidatta. Ho svolto una ricerca diversa rispetto a quella accademica: arrivo dalla bottega, dato che ho frequentato studi di colleghi sviluppando poi il mio linguaggio. Dico alchimista del colore’ perché ho sviluppato una tecnica originale di stesura della materia, dai tratti esoterici, fatta di tante stratificazioni. Ci sono stati però diversi passaggi. Fino al 2015 c’erano tracce di figurativismo, anche perché ero fotografo e musicista. La voglia di riprodurre il vero me la sono tolta con la fotografia. Poi è arrivata la musica, e poi la prima attrazione verso tele e colore. Ho sperimentato anche con le tre dimensioni della scultura, ma la via definitiva è la pittura. Sono quasi monocromi astratti.

Una ricerca non solo materica, quindi…

Sì, la mia è stata una ricerca interiore, togliendo materiale. Lo si può fare in maniera delicata e sincera, ma solo se davvero si rimuove qualcosa, e solo cercando un cambiamento interiore. Se oggi eseguo monocromi esoterici che partono dai tre colori primari - il Rosso Giallo Blu che dà titolo alla mostra - è perché c’è un percorso. L’esposizione doveva essere sinestetica: un musicista avrebbe dovuto sintetizzare i colori ottenendo delle frequenze, con profumi per l’olfatto e pavimentazioni per il tatto. Lo spazio della Fondazione Stelline non lo permetteva, quindi ci siamo concentrati sulle opere pittoriche.

In mostra ci sono 21 tele che toccano anche l’alchimia: in che senso?

Ho lavorato su gruppi di colori - giallo, rosso e blu - miscelandoli. È alchimia di materiali, sostanze, sequenze e tecniche. Non uso più il pennello: lavoro con gli stracci e quindi la gestualità (a tratti taoistica) è importante. Le campiture ampie vengono interiorizzate e entro nel gesto più piccolo come nel Tai-Chi. Anche chi guarda entra lentamente nell’opera, partendo dal colore portante che accompagna fin dentro il colore.

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