Bollani: «Torno a sentirmi un Pierino come al Conservatorio»
La musica come un’entità fluida ed in continuo mutamento, dove nulla è sacro e intoccabile e tutto può essere rielaborato e messo in discussione. È una concezione che emerge prepotentemente non solo dalle parole di Stefano Bollani, argute e ironiche come di consueto, ma anche dalle sue dita, che guizzano sui tasti del piano muovendosi tra infinite contaminazioni. L’Associazione Artistico Musicale l’Ottava spegne quindici candeline, e si regala un piccolo sogno: ospitare una delle più amate star del jazz per un secret show che si è tenuto l’altra sera nella sede di Brescia.
Un evento - all’incrocio tra concerto, lezione e incontro con l’autore - nel quale Bollani ha concesso tanto spazio all’interazione col pubblico, rispondendo a domande e curiosità tra un tuffo e l’altro nel piano.
Senza scaletta, si naviga a vista in un mare brioso, in costante movimento, nel quale ogni cosa viene ingerita da uno stile vorace, che si sposta dal jazz alla classica, dal choro brasiliano alla musica popolare italiana; dove i Beatles si mescolano a Pino Daniele, passando per Ufo Robot. Seguendo l’istinto del momento, perché «quando c’è una buona idea e la musica funziona, è lei a guidare tutto». Il 30 ottobre, Bollani tornerà a Brescia, al Teatro Grande, accompagnato da Chucho Valdés. Nel frattempo, potremo sentirlo il 16 maggio al Teatro Creberg con l’Orchestra Filarmonica di Bologna diretta da Kristjan Järvi, per il Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo in collaborazione con l’appena concluso Bergamo Jazz: «Conosco Kristjan da molto tempo, è lui che mi ha commissionato il "Concerto Azzurro" per la MDR di Lipsia», ci spiega il pianista prima dello spettacolo. «Nel mondo della classica cerco persone come lui, con una mente aperta che non si ferma al repertorio».
Il «Concerto Azzurro» sarà uno dei brani che eseguirete a Bergamo, oltre ad «Aurora» di Järvi e alla «Rapsodia in Blue» di Gershwin. Perché «Azzurro»? L’Azzurro è il colore del chakra della gola, quello dell’espressione. Questo concerto è pieno di informazioni, un inno all’idea che sia necessario esprimere ciò che vogliamo. L’orchestratore è stato Paolo Silvestri, mentre per il «Concerto Verde» che presenterò in giugno a Buenos Aires, dedicato al chakra del cuore e quindi più melodico, ho scritto tutta la parte di orchestra. Per me è difficile, perché pur avendo studiato al Conservatorio sono un indisciplinato.
A tal proposito, il jazz e la classica si guardano con sempre maggiore simpatia, anche nei conservatori... Risposta cinica: si sono messi insieme per contrastare il pop e la musica leggera. Risposta positiva: era davvero l’ora di un cambiamento. Quando studiavo io, assurdamente non si parlava mai di jazz e rock: la storia della musica si limitava a quella occidentale e di livello elevato, come se il Novecento fosse tutto lì.
Qual è il fascino di improvvisare sopra a un’intera orchestra sinfonica? Anzitutto mi diverto perché mi sento Pierino, come ai tempi del Conservatorio, quando tutti suonavano repertorio e io le canzonette. La cosa fondamentale per me è, peraltro, poter creare musica istantaneamente in base a sensazioni e situazioni. Se dovessi rifare lo stesso concerto dappertutto mi sembrerebbe quasi di lavorare in un ufficio.
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