Cultura

Biennale d'arte di Venezia, dove il corpo va oltre se stesso

La 59ª Esposizione internazionale apre domani ai Giardini e all’Arsenale Una Mostra al femminile segnata da guerra e Covid
Una veduta del padiglione centrale che ospita la mostra «Il latte dei sogni» - Courtesy La Biennale di Venezia
Una veduta del padiglione centrale che ospita la mostra «Il latte dei sogni» - Courtesy La Biennale di Venezia
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L’eco della guerra e della pandemia segna la 59ª Esposizione internazionale d’arte di Venezia, che si apre domani, sabato, ai Giardini e all’Arsenale (oltre che in molteplici spazi destinati in città alle proposte dei Paesi ospiti) fino al 27 novembre. I due anni di lavoro «a distanza» della curatrice Cecilia Alemani hanno costruito attorno al libro di favole «Il latte dei sogni» dell’artista surrealista Leonora Carrington (1917-2011) una Biennale che si prefigura allo stesso tempo inquietante e onirica, metamorfica e surreale, magica e carica di speranza.

E non a caso, tra gli oltre duecento artisti da 58 nazioni invitati a partecipare alla mostra principale, la maggioranza sono donne o persone non binarie. Come se il femminile, con la sua capacità di mettersi in connessione con le forze generatrici della natura, o il «fluido», siano in grado di attraversare indenni un’epoca in cui i confini tra umano, natura e tecnologia sono sempre più labili, e la pandemia e la guerra hanno messo sotto gli occhi di tutti la fragilità del corpo.

Le domande

Piazza Ucraina, nello spazio dei Giardini - Foto Marco Cappelletti
Piazza Ucraina, nello spazio dei Giardini - Foto Marco Cappelletti

«Come sta cambiando la definizione di umano? Quali sono le differenze che separano il vegetale, l’animale, l’umano e il non-umano? Quali sono le nostre responsabilità nei confronti dei nostri simili, delle altre forme di vita e del pianeta che abitiamo? E come sarebbe la vita senza di noi? Questi sono alcuni degli interrogativi che fanno da guida a questa edizione della Biennale Arte, la cui ricerca - ha spiegato Alemani - si concentra in particolare attorno a tre aree tematiche: la rappresentazione dei corpi e le loro metamorfosi; la relazione tra gli individui e le tecnologie; i legami che si intrecciano tra i corpi e la Terra».

La struttura della mostra si articola nelle due sedi dei Giardini e dell’Arsenale, e in cinque «capsule del tempo» che affrontano temi specifici accostando opere di artiste storiche e contemporanee. Il percorso. Il fulcro della mostra sta nella sala sotterranea del Padiglione centrale dei Giardini, dove la capsula intitolata «La culla della strega» presenta opere ispirate al Surrealismo di artiste quali la stessa Leonora Carrington, Leonor Fini, Carol Rama, Remedios Varo, in dialogo con le opere disseminate nelle sale del padiglione in cui si combinano organico e artificiale.

L'esposizione

Padiglione Italia: l’installazione di Tosatti - Foto Andrea Vezzù
Padiglione Italia: l’installazione di Tosatti - Foto Andrea Vezzù

La capsula dedicata alle «Tecnologie dell’incanto» esplora l’astrazione cinetica e tecnologica degli anni Sessanta con pezzi di Arte programmata di Dadamaino e Grazia Varisco, tra le altre. «Corpo orbita» indaga la Poesia visiva cui fu dedicata una mostra alla Biennale del 1978 (qui, tra le altre, Mirella Bentivoglio Tomaso Binga, Carla Accardi). All’Arsenale l’esposizione si concentra sul rapporto con la Terra e la natura, sulle comunità matriarcali delle tradizioni africane e sudamericane, ma anche sull’attivismo ecologista del Nordeuropa, accanto alla capsula dedicata ai «contenitori» che consentirono ai nostri progenitori di dar vita alla civiltà che ci contraddistingue; ancora, «La seduzione del cyborg» apre scenari oscillanti tra inquietudine e attesa per il futuro. Il padiglione Italia.

All’Arsenale, affidato a Gian Maria Tosatti, si apre con la riproduzione di uno stabilimento industriale in disarmo, tra macchinari fermi, postazioni per la cucitura ormai abbandonate, senso di sospensione e abbandono. Nella seconda parte, il buio quasi totale è appena rotto da «luci in fondo al tunnel» che si accendono e spengono come lucciole di speranza per un futuro ancora tutto da inventare. «È il sogno infranto del progresso - ha spiegato l’artista -. Perché la speranza, come la democrazia, va nutrita».

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