Benedetta Tobagi: «Democrazia e servizi segreti, rapporto impossibile»
Poco servizi, se per servizio si intende quello ispirato ad un interesse pubblico superiore. Tanto segreti, al punto da costringere chi come lei li studia da sempre non solo ad attendere cinque anni, senza risposta, per ottenere l’accesso ad alcuni documenti di Stato custoditi in una fondazione privata, ma soprattutto a leggere nei «buchi» quelle verità che nelle carte declassificate non si potranno mai trovare.
Benedetta Tobagi
Del peso dell’intelligence nello sviluppo democratico del nostro Paese ha parlato ieri a palazzo Martinengo delle Palle di via San Martino della Battaglia Benedetta Tobagi. La scrittrice era ospite di Casa della Memoria nell’ambito degli incontri in calendario per il 50esimo anniversario della Strage di piazza della Loggia. Intervistata dalla professoressa Federica Paletti, Tobagi ha dialogato con il professor Marcello Flores partendo dal suo «Segreti e lacune. Le stragi tra servizi segreti, magistratura e governo» pubblicato da Einaudi nell’autunno dello scorso anno.
Davanti ad un folto pubblico la scrittrice milanese ha raccontato l’origine del suo lavoro. «Tutto inizia – ha spiegato – quando Renzi, nel 2014, dichiara con magniloquenza che avrebbe declassificato tutti gli atti e messo a disposizione gli archivi. Non mi aspettavo granché, sospettavo di trovarmi di fronte ad un colabrodo, ma l’occasione era troppo ghiotta per non coglierla. Una volta ottenuto l’accesso agli atti mi sono resa conto che la mia diffidenza era più che giustificata. Le carte declassificate non erano diverse da quelle già messe a disposizione dei magistrati, non c’era nulla di nuovo. Altrimenti – sottolinea la scrittrice – non sarebbero state certo declassificate. Così mi sono dedicata ai buchi, ho cercato di mappare le lacune. Ho studiato i carteggi con i quali i livelli dei servizi dialogavano tra loro. Ho avuto la conferma che gli archivi sono strumenti con i quali si fa passare qualsiasi verità». E con i quali, in Italia, ma non solo in Italia, si è depistata la storia.
I servizi segreti in Italia
Tobagi ha illustrato la genesi dei servizi segreti in Italia. Della forma di autogoverno nella quale hanno operato a partire dal 1949, alla legge del 1977 che li ha regolamentati per la prima volta. «Furono costituiti e fatti funzionare senza controllo. E al loro interno operavano diverse figure in continuità con il regime fascista. In alcuni paesi del mondo l’intelligence di Stato non è governata da alcuna legge, penso alla Gran Bretagna; in altri, come negli Usa, a sovraintendere al loro funzionamento ci sono normative che consentono operazioni sotto copertura all’estero, purché non riconducibili al governo degli Stati Uniti. Da noi una legge non c’è stata per quasi trent’anni – ha spiegato Tobagi – ed è arrivata solo quando, grazie ad alcuni magistrati indipendenti, sono saltare fuori le prime porcate di Stato. La legge a quel punto ha individuato una formale responsabilità dell’intelligence in capo ai governi, ma non ha risolto tutti i problemi».
I servizi depistavano prima della legge e hanno depistato dopo. Lo hanno fatto in piazza della Loggia nel 1974, evidenzia Tobagi, e lo hanno fatto a Bologna dal 1980. «Lo hanno fatto affidandosi all’oralità delle comunicazioni, distruggendo i documenti decisivi, archiviando quelli pressoché irrilevanti. Lo hanno fatto creando quello che io definisco disordine funzionale coltivato: sempre meglio passare per tonti e inadeguati piuttosto che subire un processo e una condanna. I servizi segreti per loro natura hanno un problema di coesistenza con la democrazia. In Italia hanno usato le stragi come strumenti per depistare e poi hanno depistato le indagini – ha affermato la scrittrice –per impedire l’accertamento della verità».
Il ruolo della politica
Per il professor Marcello Flores un ruolo decisivo lo ha avuto la politica. All’impunità dei servizi ha contribuito il potere, anche se non direttamente coinvolto.
«Pensiamo ai governi di solidarietà nazionale, alla commissione Anselmi – ha indicato Flores –; non c’è stato il coraggio di affrontare il livello politico».
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