Cultura

Belinda e il Mostro e gli altri libri consigliati dalla redazione per aprile

Un omaggio a Cristina Campo, di cui ricorre il centenario della nascita, un best seller, il Mediterraneo e una vestaglia blu
Cristina Campo, al secolo Vittoria Guerrini. Il 29 aprile ricorre il centenario della sua nascita
Cristina Campo, al secolo Vittoria Guerrini. Il 29 aprile ricorre il centenario della sua nascita
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L’aprile del 2023 è il mese di un centenario significativo per almeno due redattrici che partecipano a questa rubrica e quindi abbiamo deciso di condividerlo con tutti voi.

Cento anni fa nasceva infatti Vittoria Guerrini, una poeta sofisticata e a lungo ignorata, cui piaceva molto giocare con gli pseudonimi. Quello che aveva scelto per sé era Cristina Campo e sotto questo nome sono stati pubblicati i pochi scritti che ci ha lasciato, nel silenzio quasi generale della società letteraria con l’eccezione del critico Guido Ceronetti.

Schiva e malata per gran parte della sua vita, Campo nacque il 29 aprile 1923 a Bologna e scomparve a Roma nel 1977. Per scoprire le vicende di questa donna intensa e raffinatissima, nutrita di letteratura, c’è un bel libro di Cristina De Stefano intitolato «Belinda e il Mostro - Vita segreta di Cristina Campo», che ripercorre l’infanzia bolognese, la giovinezza fiorentina, gli anni della guerra e quelli romani, la malattia, gli amori, le amicizie, la scrittura e la fede di una delle scrittrice italiane ancora oggi più avvolte dal mistero. Due penne bresciane di grande caratura, Franca Grisoni e Pietro Gibellini, l’hanno ricordata in dialetto in una recente pubblicazione. Se poi volete saperne di più trovate tutta la bibliografia e vari documenti sul sito curato dal professor Arturo Donati.

Ve la affidiamo, insieme ad altri tre libri consigliati per aprile: il romanzo di un’esordiente che promette di diventare una serie tv, una storia intrisa di Mediterraneo e una vestaglia blu.

Se volete scriverci, potete cliccare sul nome del redattore o della redattrice che ha scritto la recensione oppure contattarci qui.

Ci sentiamo a maggio, ciao!

«La Malnata»
di Beatrice Salvioni

(Einaudi, Stile Libero Big, 2023, pp. 242, 17,50 euro)

La copertina di La Malnata
La copertina di La Malnata

C'è anche la Mille Miglia a fare da sfondo ad un capitolo del romanzo «La Malnata», il best seller annunciato dell'esordiente Beatrice Salvioni ventottenne monzese, autrice di un testo che il risvolto di copertina indica «in corso di traduzione in tutto il mondo e in procinto di diventare una serie tv».

Dopo la saga di Elena Ferrante, ecco servito un altro fenomeno da esportazione. Buono per chi voglia leggere «una storia». Ed eccola: nella Monza del 1936, sulle rive del fiume Lambro, due ragazzine cercano di nascondere il cadavere di un fascista che ha cercato di fare violenza a una di loro. E' lei, Francesca, dodicenne di famiglia borghese, a raccontare il «prima», ovvero la sua attrazione per Maddalena, che tutti chiamano «la Malnata», accusata (e convinta) di portare sventura a chi la avvicina. Una attrazione che porterà Francesca a trasgredire più volte il volere dei genitori, ribellandosi alle convenzioni fino a compiere, nel finale, un atto di coraggio e di verità.

Il cuore del racconto sta nel potere delle parole, «le parole sono importanti», dice la Malnata, riecheggiando la celebre battuta di un film di Nanni Moretti.

Salvioni si inoltra nel regno oscuro e periglioso della pre-adolescenza, tratteggia a rapide pennellate il clima dell'Italia sotto il Fascismo, rammentando alle generazioni dei più giovani, a cui la storia è elettivamente rivolta, che si viveva in un'epoca in cui i ragazzi andavano in guerra e per una frase detta in libertà c'erano la delazione, il confino, le spedizioni punitive e anche peggio.
Il romanzo si legge bene, ma non avvince. Esso partecipa di quella scrittura inappuntabile e impersonale, alla quale manca l'impronta unica e irripetibile della «voce» di un autore, frutto della sua poetica. Il lettore appena un po' accorto avrà modo di compulsare la lista dei ringraziamenti finali della giovane autrice, e di trarne le sue conclusioni. Il libro venderà molte copie e avrà fortuna. L'autrice crescerà. E noi lettori rivedremo volentieri la vicenda nella futura serie tv.

(Paola Carmignani, redazione Cultura e Spettacoli)

Notturno francese
di Fabio Stassi

La copertina di Notturno francese
La copertina di Notturno francese

(Sellerio Editore, 2023, pp. 160, euro 14, ebook 9,99 euro)

La periferia di Marsiglia, Nizza e i grandi hotel della Costa Azzurra. Napoli, grande assente. Genova, che per il protagonista è un tuffo al cuore. Sete e il suo cimitero affacciato sul mare cantato da Paul Valéry (e in cui Paul Valéry è sepolto). 

È una geografia tutta mediterranea quella che si snoda tra le pagine di «Notturno francese», ultimo romanzo di Fabio Stassi, editor oltre che autore. Uno, insomma, che di letteratura e di architetture di parole ne sa parecchio. Non meraviglia quindi che tanta parte abbia in questo libro l'eco di scrittori che hanno fatto del mare di mezzo un topos interiore e infinito, un luogo dei piaceri possibili, per dirla con Jean-Claude Izzo, il grande marsigliese citato fin dalle epigrafi iniziali. Il destino, il viaggio, la ricerca, i libri e le cartoline sono ingredienti di quello che è un capitolo della più ampia saga di Vince Corso, biblioterapeuta e detective all'occorrenza, di casa a Roma al 268 di via Merulana, dove l'Urbe ricorda grata con una targa il pasticciaccio brutto di Carlo Emilio Gadda. Tanto per dire. Stavolta Corso si ritrova, suo malgrado, a cercare le proprie origini. Tutto per sbaglio. O meglio grazie ad esso. Un treno confuso per un altro e incontri fortuiti lo conducono in un percorso a ritroso tra le città della sua vita. Sino a Nizza dove - come ha appreso dalla madre in punto di morte - è stato concepito nella sola notte vissuta dalla donna, allora giovanissima, accanto al padre. Proprio quell'uomo misterioso al quale il protagonista da anni spedisce cartoline senza intestazione. Ciò che Corso troverà sta al lettore scoprirlo, non a noi svelarlo anzitempo. Di certo - questo sì, può essere anticipato - avrà l'occasione di riflettere sulle parole di Camus, che dalla sponda algerina del mare nostrum scopriva in quel magma liquido di luce, acqua e sale la «vera gloria: il diritto di amare senza misura».

(Gianluca Gallinari, vicecaporedattore e redazione Web)

Figlia di una vestaglia blu
di Simona Baldanzi

La copertina di Figlia di una vestaglia blu
La copertina di Figlia di una vestaglia blu

(Edizioni Alegre, 2019, pp. 208, 15 euro, ebook 7,99 euro)

Simona Baldanzi è figlia di una vestaglia blu e di un papà magazziniere. Entrambi per la stessa azienda, la Rifle, la storica fabbrica di jeans di Barberino del Mugello. Sandra, sua madre, è stata una delle centinaia di lavoratrici che lavoravano in catena: dai quindici anni al giorno della meritata pensione ha cucito passanti e travette. «Ricordo che quando vidi le foto di mia mamma che mi allattava in ospedale mi stupii che avesse una vestaglia da notte e non da lavoro. Finalmente qualche fiorellino su cotone bianco, anziché quel rozzo blu – scrive l’autrice -. Perché insomma, di tutti i ricordi che ho, mia mamma ha sempre indossato una vestaglia blu».
Quella vestaglia blu è anche motivo d’orgoglio per Baldanzi, che grazie alle fatiche e alle rinunce dei suoi genitori è riuscita a laurearsi in Scienze politiche con una tesi dedicata alla comunità dei lavoratori impegnati nella costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità Bologna-Firenze e alla loro difficile integrazione nel tessuto sociale mugellano.

Se per l’autrice la vestaglia blu è pure il segno visivo dell’affetto verso la madre, un affine sentimento la porterà all’approccio con un altro mondo operaio, tutto al maschile, come quello delle tute arancioni che forano le montagne del Mugello per costruire la Tav. Baldanzi incontra così uomini combattivi e altri senza speranza. Per molti di loro Simona sarà semplicemente una studentessa: o meglio «la ragazza dei questionari«. Grazie a loro, però, la giovane donna ripercorrerà la sua vita, ripensando al suo paese e ai suoi cari, da una prospettiva speciale: segnata dal lavoro, dall’etica, delle ingiustizie e dalle rivendicazioni di classe. 

Il libro di Baldanzi, pubblicato nel 2006 per i tipi di Fazi Editore, ha vinto il premio «Miglior esordio» di Fahrenheit Radio3 Rai e dal 2019 è stato ristampato per la collana Working Class diretta da Alberto Prunetti per Edizioni Alegre. I sessantuno brevi racconti scritti da Simona Baldanzi non sono mai banali: con rigoroso garbo e spiccata sensibilità l’autrice non cede mai spazio alla retorica, bensì alle sue malinconie e alla sua fierezza di essere figlia di una vestaglia blu.

(Erminio Bissolotti, redazione Economia)

Gli imperdonabili
di Cristina Campo

La copertina di Gli imperdonabili
La copertina di Gli imperdonabili

(Adelphi, 2019, pp. 282, euro 20)

Più che una recensione, questo è un invito ad accostare una delle scrittrici più raffinate e misconosciute della letteratura italiana, di cui a fine aprile ricorre il centenario della nascita. Anche scrittrice è un termine improprio per descrivere Cristina Campo, che in vita fu poeta, filosofa, traduttrice, critica, grande lettrice, magnifica interprete del mondo delle fiabe, alla ricerca inesausta dell’invisibile nelle cose visibili. Lei che «ha scritto poco e le piacerebbe avere scritto meno», celata anche agli amici dal suo vero nome (Vittoria Guerrini), ci ha lasciato pagine su Hofmannsthal, Proust, John Donne, Simone Weil, l’antica tradizione delle fiabe, il rito bizantino, che possono essere serenamente considerate la perfezione della lingua italiana.

Leggere Campo è un sentiero impervio, che costringe a misurarsi continuamente con il sapore massimo di ogni parola. Così vale nelle sue raccolte più celebri «Il flauto e il tappeto» e «Fiaba e mistero», riunite da Adelphi nel volume «Gli imperdonabili», ma anche nella sua fitta corrispondenza con alcune figure eccezionali con cui seppe intessere sodalizi spirituali: Mario Luzi, Leone Traverso («Caro Bul»), Alda Merini, Bobi Bazlen, Ezra Pound, Eugenio Montale, Margherita Pieracci Harwell («Lettere a Mita»), Curzio Malaparte, solo per citarne alcuni, e ancora Elémire Zolla (che fu anche suo compagno), Andrea Emo, Lanzo del Vasto, Maria Zambrano, Danilo Dolci, Ernst Bernhard e infine Alessandro Spina, lo scrittore siriano che morì a Rovato nel 2013, grande amico di Cristina Campo, di cui ci resta un prezioso «Carteggio» edito da Morcelliana.

«Meticolosa, speciosa, inflessibile», come lei stessa definì Marianne Moore, Campo ha vagato per tutta la sua vita dal gregoriano fino a Borges alla ricerca del simbolo, del mistero, della perfezione, del destino. Leggerla, a distanza di cent’anni da quando venne al mondo nella sua amata Bologna, è un’occasione per immergersi in qualcosa che oggi sa di inattuale e che ha il potere di sbriciolare tutto ciò che è mendace e inconsistente. Aveva ragione Guido Ceronetti a rivendicare con orgoglio il «privilegio di solitudine» di recensire, lui solo, «Il flauto e il tappeto» nel 1971.

È una lettura sofisticata, ma provate a conoscere Cristina Campo quando vorrete fare «un piccolo tentativo di dissidenza dal gioco delle forze, "una professione di incredulità nell’onnipotenza del visibile"».

(Laura Fasani, redazione Web)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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