Cultura

«Bambini nella Shoah»: toccante sguardo sulle vittime più innocenti delle persecuzioni

La mostra «Stelle senza un cielo» curata dallo Yad Vashem è stata adottata da Casa della Memoria di Brescia
Sulla locandina Rosa Wurman-Wolf nell’orfanotrofio di Wezembeek, in Belgio. Aveva solo due anni quando i suoi genitori vennero deportati -  © www.giornaledibrescia.it
Sulla locandina Rosa Wurman-Wolf nell’orfanotrofio di Wezembeek, in Belgio. Aveva solo due anni quando i suoi genitori vennero deportati - © www.giornaledibrescia.it
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Rosa ci guarda con occhi di velluto abbracciata al suo orsacchiotto. Aveva due anni quando i suoi genitori vennero deportati nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Ospitata nell’orfanotrofio di Wezembeek, in Belgio, riuscì a sopravvivere alla Shoah. Rosa è l’icona della mostra «Stelle senza un cielo» curata dallo Yad Vashem, Ente nazionale per la memoria della Shoah di Gerusalemme, e presentata dall’Associazione Figli della Shoah. Casa della Memoria di Brescia - impegnata non solo nella salvaguardia del ricordo della Shoah, ma continuando a renderne testimonianza - ha voluto adottare la mostra, mettendo al centro le storie dei bambini ebrei vittime innocenti delle persecuzioni naziste.

È un percorso per immagini che ci impone una toccante nonché amara riflessione. Tra il 1933 e il 1941, le comunità ebraiche subirono brutali sconvolgimenti che causarono fratture antropologiche e sociali della più bieca crudeltà. I fanciulli strappati alla loro infanzia, costretti a lavorare per sopravvivere, nascosti sotto falso nome, dovettero crescere con identità fragili. È un’infanzia privata della sua essenza ludica e spensierata, del diritto alla vita, alla dignità, alla salute e all’istruzione. Cacciati da scuola, tali fanciulli dovettero adattarsi velocemente alle crudeli e del tutto nuove condizioni, con il risultato che molti di loro si trasformarono, di fatto, in «bambini-adulti».

Sguardi indifesi

Entriamo nell’inferno vissuto da un milione e mezzo di bambini, incrociando i loro sguardi indifesi che ci richiamano insistentemente ad un’assunzione di responsabilità, obbligandoci a non voltare lo sguardo. Trasferiti nei ghetti, denutriti, costretti all’accattonaggio, a lavorare per sopravvivere, nascosti sotto falsa identità, affrontarono fame e malattie per essere poi deportati, dopo indicibili sofferenze, nei campi di sterminio, dove furono i primi ad essere selezionati per i forni crematori. Anche un kit multimediale.

L’esposizione con fotografie, pannelli espositivi e un kit multimediale di approfondimento racconta, anche attraverso letterine struggenti, la capacità rara dei bambini di tenersi aggrappati alla vita pure in circostanze drammatiche. Riemerge dai colori sgargianti dei disegni una inconsapevole positività, quella che consentirà ad alcuni di loro di ritornare alla vita dopo aver attraversato l’inferno.

  • Disegni realizzati a Bratislava nel 1943 da Silberstein Vera da Bratislava prima deportata a Birken
    Disegni realizzati a Bratislava nel 1943 da Silberstein Vera da Bratislava prima deportata a Birken
  • Disegni realizzati a Bratislava nel 1943 da Silberstein Vera da Bratislava prima deportata a Birken
    Disegni realizzati a Bratislava nel 1943 da Silberstein Vera da Bratislava prima deportata a Birken

Inaspettati sprazzi di speranza

Dalle vicende dei bambini a cui l’infanzia venne rubata emergono inaspettati sprazzi di speranza, affinché la memoria possa generare futuro. Ed è così che il buio più profondo del nazifascismo è squarciato da una lama di luce: la Sciesopoli ebraica, la Casa dei bambini di Selvino (Bergamo) dove 800 bambini orfani, reduci dai campi di sterminio nazisti di tutta Europa, tra il 1945 e il 1948 furono ospitati sulle Prealpi bergamasche della Val Seriana.

È una delle più belle pagine che la storia abbia mai scritto e narra del generoso popolo selvinese che, con organizzazioni ebraiche italiane, internazionali e partigiane si adoperarono per dare accoglienza, cura e istruzione a bambini spiritualmente e fisicamente devastati. Molti di loro partirono poi per Israele. E con essi anche Rosa dallo sguardo di velluto.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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