Per le «Capèle» del Santuario di Cerveno il grande restauro è completato
Una scalinata che, all’apparenza, si presenta un poco ripida: tre gradini e puoi fermarti ad ammirare, sia a destra sia a sinistra, le nicchie affrescate. Poi altri tre scalini e altre due cappelle. Così, sino a sei volte, per culminare, in fronte, con la Deposizione.
Qualcuno dice che, salendo quella scalinata, è come passare dagli inferi al Paradiso. Nelle nicchie sono custodite 198 statue in legno e stucco, a grandezza naturale, realizzate nel Settecento da Beniamino Simoni.
Raccontano, con un marcato realismo per quei tempi, ma, in realtà, ancora oggi, la storia della Passione e morte di Gesù. Rappresentano, una dopo l’altra, le quattordici stazioni della «Via Crucis».
Le «Capèle»
Affreschi, si è detto, statue lignee, ma anche di gesso, che spuntano dalle pareti, conferendo al complesso quel carattere tragico che vuole proprio avere. Stiamo parlando delle «Capèle», la straordinaria opera contenuta nel Santuario della Via Crucis di Cerveno, in media Valcamonica.
Un monumento ricco di suggestioni, di storia e di arte, che si inserisce nella tradizione lombardo-piemontese dei Sacri Monti. Una storia che, nei quasi trecento anni di vita, si è tutta depositata sulle statue, perdendosi tra le pitture murarie. Una altrettanto straordinaria azione diffusa, ma corale, di generosità e intraprendenza ha permesso, negli ultimi due decenni, di porre mano, pezzo per pezzo, ogniqualvolta si riusciva a raccogliere un gruzzolo significativo, al restauro del complesso: tanto agli affreschi, quanto alle statue, ma anche alle balaustre, alla struttura e alla scalinata, per finire con l’illuminazione.
Non è stato facile, né per chi ha raccolto, con il coordinamento della Parrocchia, né per chi, anno dopo anno, ha come vissuto dentro quelle nicchie, per riportarle alla luce.
Lavoro magistrale
I restauratori del consorzio Indaco hanno effettuato un lavoro magistrale, sia di ricerca, sia sul campo. La stella polare era riportare l’opera allo stato in cui era stata pensata dagli ideatori del Santuario, alla sua naturale concezione.
A raccontarci il percorso è Federico Troletti, storico dell’arte originario della Valle, che ha seguito l’evolversi del progetto. «Le statue lignee sono state oggetto di un faticoso intervento di rimozione di stratificazioni pittoriche non originali, che durante i secoli erano state poste da mani diverse - spiega il ricercatore, oggi impegnato a Firenze all’istituto germanico -. Alcuni di questi strati, particolarmente tenaci, hanno richiesto l’impiego di più tempo rispetto a quanto preventivato, con varie difficoltà tecniche. Il restauro ha consentito di restituire le originali cromie, che durante i secoli erano state alterate, se non addirittura, per alcune porzioni, stravolte. I colori sono stati poi consolidati e, in alcuni punti, integrati con tinte naturali e reversibili». Lo stesso è avvenuto per le statue in stucco: «Alcune erano in pessime condizioni - aggiunge Troletti -, per cui si è dovuto procedere con operazioni meccaniche di consolidamento, anche rimuovendo grossolane aggiunte avvenute nel secolo scorso».
Quanto agli affreschi interni delle Cappelle, sono stati restituiti «gli splendidi cieli e i fondali scenografici decorati con palazzi di città. Si è, anzitutto, proceduto a rimuovere le tinteggiature, che avevano coperto alcune parti, e a consolidare alcuni punti dell’intonaco bisognosi d’intervento». Si è trattato di un restauro conservativo, per conferire all’opera un aspetto il più possibile simile all’originario.
Il restauro delle «Capèle» avviene nell’anno della decennale «Santa Crus», la spettacolare processione in forma teatralizzata, che coinvolge tutto il paese: in programma il 26 maggio ed il 2 giugno.
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