«Maurizio Bonfanti: Passio», la mostra alla Collezione Paolo VI

Giulia Camilla Bassi
Da sabato fino al 12 aprile otto tele e altrettanti bozzetti realizzati nel 2023 dal pittore figurativo bergamasco
L'artista Bonfanti all'opera - © www.giornaledibrescia.it
L'artista Bonfanti all'opera - © www.giornaledibrescia.it
AA

Sabato 1° marzo sarà inaugurata alla Collezione Paolo VI di Concesio «Maurizio Bonfanti. Passio», la mostra che segna il ritorno dell’artista bergamasco, già presente nella collezione permanente del museo. Una riflessione profonda sulla redenzione e la sofferenza – soggetti cari a Bonfanti fin dai suoi primi lavori sulla Passione del 2005 – in cui il tema è rielaborato in chiave contemporanea. In «Passio», infatti, il vero protagonista è l’uomo, che si rispecchia nel dolore di Cristo, nella sua inevitabile e sconfinata solitudine. L’abbiamo incontrato per parlare della mostra, visitabile fino al 12 aprile, e della sua produzione artistica.

Maurizio, cosa vedremo a Concesio?

Vedremo otto grandi tele che ho realizzato nel 2023, un anno di lavoro intenso. Riguardano il tema della Passione, ma non è una Via crucis. Per esempio, la prima tela fa riferimento all’Ultima Cena. Avevo già affrontato il tema della Passio tra il 2005 e il 2006, ma ho sentito la necessità di tornare sul progetto, considerando la possibilità di ingrandire le immagini fatte in passato. Rileggendo però il lavoro del tempo, mi sono posto l’idea di ripensarlo completamente con uno sguardo diverso. Sono trascorsi tanti anni e anche il mio modo di dipingere è cambiato. Le ragioni profonde che mi hanno spinto a realizzare questa serie sono invece insondabili: era una necessità, in un momento in cui ho potuto riflettere con calma intorno a un tema che mi ha sempre coinvolto. In mostra vedremo anche gli otto bozzetti che hanno anticipato il lavoro, quelli con cui ho cercato di mettere a fuoco le varie tematiche.

Nella sua poetica spesso tornano i temi della solitudine, della memoria e della sofferenza.

È vero, sono temi che delineano da sempre la condizione dell’uomo, ma che si esprimono maggiormente in quello contemporaneo. Ogni artista cerca di sondare a suo modo la realtà che lo circonda. Io sono un pittore figurativo, il mio immaginario trova sempre corrispondenza con la figura umana, col corpo. Faccio fatica a pensare un’opera senza questa presenza. I temi citati sono quelli che da sempre formano il mio immaginario. E tornano fortemente anche nella Passione di Cristo. Ho voluto indagare proprio questo elemento: la solitudine di un uomo che – di fronte a una scelta così radicale – si trova ad affrontare momenti intensamente drammatici e lo fa da solo.

Questa visione ha un riverbero nell’attualità...

Nella mia opera torna sempre la figura umana, l’uomo solo negli spazi urbani, complicato nei suoi percorsi. Perché la vita stessa complica le nostre vite e le vicende drammatiche di attualità che stiamo vivendo devono spingere l’artista a guardare fuori dalla finestra del proprio studio che non è una torre d’avorio in cui estraniarsi dalla realtà. Io vivo la storia, senza voler certamente dare risposte, ma cercando di trasmettere a me stesso e agli altri le mie sensazioni, con gli elementi che mi appartengono

La sede della Collezione Paolo VI a Concesio - © www.giornaledibrescia.it
La sede della Collezione Paolo VI a Concesio - © www.giornaledibrescia.it

Qual è il ruolo dell’artista nella società contemporanea?

Oggi non esiste più un unico stile, un pensiero forte, come poteva essere per esempio nell’Ottocento, quando all’interno delle accademie si fissavano alcuni parametri operativi anche di pensiero visivo. Oggi ognuno lavora nello spazio del proprio studio, dovendo certamente mantenere un osservatorio sul mondo, ma decidendo a seconda del proprio temperamento e della propria sensibilità quale direzione prendere. L’artista non ha più la stessa funzione sociale che aveva nei secoli scorsi. Oggi è un testimone solitario. Non chiediamo all’artista di inventare mondi nuovi, semplicemente di avere uno sguardo un po’ più lungo e profondo su ciò che riguarda l’uomo.

Lei è docente di Pittura al l’Accademia Santa Giulia, cosa insegna alle nuove generazioni di artisti?

Insegnare in Accademia è un’esperienza meravigliosa! Credo che il ruolo dell’insegnante sia quello di orientare gli studenti, cercando di individuare percorsi operativi possibili, senza imporre nulla, in un dialogo continuo. L’accademia non è solo un luogo deputato all’educazione di un futuro artista, ma è anche il luogo dove si realizzano contaminazioni con l’esterno. Quello che dico ai miei studenti è che la formazione di un artista avviene sempre attraverso la conoscenza della realtà culturale, approfondendo la letteratura, il teatro, la musica e il cinema. È importante saper drizzare le antenne e mostrare curiosità in tutti i campi della vita

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Condividi l'articolo

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato

Icona Newsletter

@News in 5 minuti

A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.