Lo «Stendardo dei Disciplini» del Moretto è tornato a Brescia
È tornato a Brescia dopo 360 anni. Da quando – era il 1664 – l’allora vescovo cittadino Pietro Ottoboni se lo portò a Roma, prima di diventare papa col nome di Alessandro VIII. La qualità dell’opera è attestata da Antonio Canova, che dagli eredi Ottoboni l’avrebbe acquistato nel 1810, per trasferirlo a Possagno dove è tuttora custodito nel celebre Tempio Canoviano.
Da lì lo «Stendardo dei Disciplini», opera di Moretto, è giunto in città, nei mesi scorsi, per essere sottoposto ad un importante restauro nel laboratorio cittadino Marchetti e Fontanini.
Arte e devozione
Dopo la presentazione in anteprima alla stampa, l’opera è stata imballata e trasportata nelle sale del Museo di Santa Giulia. Qui, lungo il percorso della mostra dedicata al Rinascimento a Brescia, aperta al pubblico da venerdì 18 ottobre, racconterà di devozione religiosa e di grande arte.
Sì, perché i due «disciplini» raffigurati ai piedi della Vergine – ha spiegato Roberta D’Adda, conservatrice delle collezioni storico-artistiche dei Civici Musei e curatrice dell’esposizione – non sono altro che due devoti appartenenti alla confraternita della Madonna del Carmine, che nell’antica chiesa nel cuore della città aveva un proprio altare, e in un edificio lì accanto la propria sede. Dove con tutta probabilità era custodito lo Stendardo da portare in processione.
Un restauro conservativo
«L’opera è fragilissima – hanno sottolineato D’Adda e la restauratrice Luisa Marchetti alle cui cure è stata affidata –, è un’unica tela divisa in due lembi e dipinta sui due lati, ed era molto rovinata, probabilmente proprio a causa dell’uso che se ne faceva». Il recupero, sostenuto da SA Finance, in qualità di Art Conservation Partner della mostra («l’operazione è un esempio di cosa significa mettere insieme le forze in un circolo virtuoso che unisce persone e comunità» ha precisato il presidente Paolo Carnazzi) ha liberato la superficie da vernici, colle, stucchi e ridipinture, e la tela dalle graffette metalliche che tenevano insieme le due parti da cui è composta.
Un vero e proprio restauro conservativo, oltre che estetico, di cui la presidente della Fondazione a cui fa capo il Tempio di Possagno, Vania Cunial, ha ringraziato Fondazione Brescia Musei, invitando i bresciani a tornare a vedere il dipinto nella sede in cui è custodita, una volta conclusa la mostra e al termine di quello che Francesco Tomasini, consigliere comunale con delega alla Cultura, ha definito un «prestito-regalo» per tutti i nostri concittadini.
La Brescia devota
Nei due santi (ancora non identificati) sul retro, ma soprattutto nel gruppo dei due disciplini e la Vergine, l’opera racconta della religiosità profonda della Brescia del Cinquecento, quando le confraternite laicali rappresentavano non solo uno zoccolo duro dell’ortodossia cattolica, ma anche una componente attiva nel sociale attraverso opere pie. Sostenuti dalla preghiera (l’«orazione mentale») i confratelli aspiravano all’avvicinamento alla sfera spirituale, come testimonia la scena della Vergine che, coi piedi poggiati su una nube ma praticamente rasoterra, è sì una apparizione, ma a stretto contatto con il mondo degli umani.
«Il lavoro compiuto attorno a quest’opera, dal prestito al restauro, dallo studio all’esposizione – ha aggiunto la presidente di Fondazione Brescia Musei, Francesca Bazoli, affiancata dal direttore Stefano Karadjov – testimonia la passione e l’entusiasmo messo da tutti i protagonisti di questa operazione che, ad un anno di distanza, tiene alta la bandiera di Brescia Capitale della Cultura».
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