Arte

Le foto della strage di piazza Loggia nella «contemporaneità» di Maurizio Galimberti

Il fotografo, le cui opere sono mostra a Santa Giulia fino al 28 luglio: «Ho tolto da quelle foto la polvere della storia»
  • «Brescia, Piazza Loggia 1974», la mostra di Maurizio Galimberti a Santa Giulia
    «Brescia, Piazza Loggia 1974», la mostra di Maurizio Galimberti a Santa Giulia - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
  • «Brescia, Piazza Loggia 1974», la mostra di Maurizio Galimberti a Santa Giulia
    «Brescia, Piazza Loggia 1974», la mostra di Maurizio Galimberti a Santa Giulia - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
  • «Brescia, Piazza Loggia 1974», la mostra di Maurizio Galimberti a Santa Giulia
    «Brescia, Piazza Loggia 1974», la mostra di Maurizio Galimberti a Santa Giulia - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
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    «Brescia, Piazza Loggia 1974», la mostra di Maurizio Galimberti a Santa Giulia - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
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    «Brescia, Piazza Loggia 1974», la mostra di Maurizio Galimberti a Santa Giulia - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
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    «Brescia, Piazza Loggia 1974», la mostra di Maurizio Galimberti a Santa Giulia - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
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La sua ispirazione, spiega, viene dalle «Lezioni Americane» di Italo Calvino, quando il grande scrittore dice che alle soglie del Duemila si può riscrivere quello che già esiste, dandogli la propria contemporaneità, la propria visione, la propria epoca e il proprio linguaggio. Così il fotografo Maurizio Galimberti ha riletto le immagini scattate negli attimi concitati appena dopo lo scoppio della bomba in piazza Loggia, il 28 maggio 1974, trasportandole, attraverso i suoi fotocollage, dalla cronaca alla memoria.

La mostra «Brescia, Piazza Loggia 1974», è in corso a Santa Giulia fino al 28 luglio nell’ambito del Brescia Photo Festival. Abbiamo incontrato l’autore, ieri in città per la presentazione del catalogo.

Galimberti, com’è nato questo progetto?

È nato da una chiacchierata con Paolo Ludovici che assieme al collezionista Carlo Clerici ha finanziato il progetto. Che ha messo insieme un sogno mio, del mio amico Paolo, della sindaca e della presidente di Brescia Musei.

Conosceva questo materiale? Come l’ha recuperato?

Le fotografie le conoscevo come immagini di repertorio, sono famose. Attraverso Renato Corsini ho avuto a disposizione le foto, Casa della Memoria mi ha dato i disegni, e la Fondazione Micheletti le immagini con gli slogan politici sui muri.

Che criterio ha usato per scegliere su quali lavorare?

Il criterio è stato quello di non sbattere il mostro in prima pagina. Le immagini più crude le abbiamo lasciate perdere, tranne forse una - ahimé - di un corpo dilaniato. Il sacrificio di questa persona può essere considerato inutile, perché non è cambiato nulla, ma bisogna far vedere fino dove arriva la follia umana, e spiegare che per la follia umana non si può morire. Questi corpi idealmente avrei voluto farli risorgere e abbracciarli, ho provato ad accarezzarli attraverso il mio sguardo e la mia rilettura. Beatrice, la figlia di Giulietta Bazoli, mi ha detto che la fotografia di sua mamma, che ho riletto con il filtraggio della Polaroid 50/60, è diventata una fotografia quasi da sogno, e ha visto sua mamma come non l’aveva mai vista. Questa per me è stata una grande gratificazione.

Il suo lavoro ha sollevato polemiche, per l’uso di immagini senza citarne gli autori.

Non si può pensare che fotografie che sono state fatte 20 secondi dopo lo scoppio abbiano una valenza artistica. Io ho tolto a queste immagini la polvere della storia, le ho tolte dagli archivi della memoria e portate nella contemporaneità e nella mia visione, che sta tra Duchamp e Boccioni.

Lei si ritiene un artista?

Ritengo di aver fatto un’operazione di «riappropration art», come ho già fatto con Man Ray, Magritte, Christo, il Cenacolo. È quello che diceva Italo Calvino nelle Lezioni Americane: si può riscrivere quello che già esiste, dandogli la propria contemporaneità.

Per Brescia queste immagini sono una ferita aperta, ci sono processi in corso. Si può dare loro una distanza, senza dimenticare?

Ho cercato di portarle in una dimensione più onirica, per renderle più digeribili.

Anche inserendo l’immagine della farfalla?

In Messico, dove ho vissuto bellissime esperienze fotografiche, la mariposa è il simbolo della persona morta che torna sotto forma di farfalla. Mi diceva Beatrice Bazoli che dopo il funerale di sua madre, in bagno c’era una farfalla che non se ne voleva andare. Magari non c’entra niente, ma aggrappiamoci almeno a certe cose.

Queste fotografie quanto valgono?

Non sono in vendita, appartengono ai collezionisti Clerici e Ludovici, che hanno finanziato il progetto, ovvero il mio lavoro, i materiali, le cornici. Complessivamente sono stati spesi circa 60mila euro.

Resterà un’opera alla città?

Sì, quella con Berlinguer resterà al Macof. Un’altra a Brescia Musei, dobbiamo ancora decidere quale. 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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