«La Madonna del latte» torna a splendere al Santa Giulia dopo il restauro
Erano anni che stava nei magazzini senza possibilità di posarci sopra lo sguardo, coperta da uno strato grigio formato da particolato atmosferico e nero fumo, colle animali degradate e adesivi. Non si sa esattamente da quando, ma certamente era relegata nei magazzini da prima della chiusura della Pinacoteca Tosio Martinengo del 2009. Ora la «Madonna in trono che allatta il Bambino incoronata da quattro angeli» (detta colloquialmente «La Madonna del latte») torna esposta: dopo un minuzioso restauro l’opera di Andrea Marone da Manerbio è nuovamente fruibile dal pubblico e oggi è stata svelata. La sua collocazione ora sono le Sale Venete del Museo di Santa Giulia, accanto al bassorilievo della Madonna delle Rose, altra opera di devozione popolare.
L’intervento
L’intonaco dell’affresco del 1525 circa staccato a massello nel 1878 dall’antica chiesa dei santi Ippolito e Cassiano all’incrocio tra piazza Martiri di Belfiore e via Gabriele Rosa era compromesso dall’umidità e il colore ne ha risentito: i restauri sono conservativi e non possono stravolgere le tonalità in maniera aggressiva, e così le finiture pittoriche a secco sono inevitabilmente andate perse. Ma il risultato è qualitativamente molto alto.
Anche la cornice lignea è stata conservata: anche se non si inserisce perfettamente nello stile del museo, si è deciso di mantenere la struttura in legno poiché è l’unico elemento che rimane dell’allestimento in Pinacoteca di fino Ottocento. «Probabilmente le cornici erano così fino alla Seconda Guerra Mondiale, da quel che si vede dalle foto d’epoca», spiega Roberta D’Adda, coordinatrice del settore Collezioni e Ricerca di Fondazione Brescia Musei.
La storia
Il restauro è stato reso possibile dal contributo della società Ingegneri Progettisti e Affini di cui l’ingegner Marco Medeghini è amministratore delegato, tramite l’Art Bonus. Massimiliano Lombardi e la sua squadra di restauro hanno dunque lavorato su questo affresco che nella sua storia non ha avuto fortuna: anche per le difficoltà di spostarlo da un luogo che era cantiere – la Pinacoteca – è rimasto sotto la polvere per diverso tempo. Ma racconta molte storie ed è quindi molto prezioso, dice D’Adda, «anche per la forza espressiva e la tenerezza».
Racconta la storia della città che non c’è più; racconta la storia dei dipinti cittadini, visto che fu staccato per ordine del Comune di Brescia per portarlo all’esposizione della pittura bresciana voluta da Pietro da Ponte; e racconta della devozione popolare, dal momento che l’affresco si trovava in una santella esterna. E c’è anche un legame con gli affreschi nella Basilica di San Salvatore a due passi dalla nuova collocazione: Andrea Marone lavorò infatti anche lì.
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