La generazione ’90 è in mostra all’Aab: ultimi giorni per visitarla
«Noli me frangere». Nulla mi infrange. A dirlo è la generazione descritta da molti come eccessivamente fragile, quella che sta tra millennial e zeta. Ma non è detto che la fragilità sia per forza una debolezza.
La mostra all’Aab
In questi giorni (fino al 9 ottobre) all’Aab in vicolo delle Stelle è allestita la terza tappa del progetto pluriennale «Generazione anni ’90 e Nuovo Millennio». Si intitola, appunto, «Noli me frangere» e, come negli anni precedenti, dà voce a una generazione ben precisa. L’anno scorso il focus furono i millennial, quest’anno Ilaria Bignotti e Camilla Remondina (curatrice la prima, collaboratrice la seconda) hanno scelto artisti e artiste nati tra gli anni ’90 e i primi Duemila.
Il tema
«Io sono del 1979», racconta Bignotti. «Quando ho iniziato il progetto l’ho fatto pensando di assegnare agli artisti un tema urgente, facendo riferimento a fonti, maestri e correnti della mia generazione. Come se fosse un passaggio di consegna. Una consegna che gli consente di esprimere liberamente il loro pensiero».
Il primo anno, nel 2022, Bignotti diede come input uno scritto di Pier paolo Pasolini, l’«Urlo», facendo riferimento alla necessità dei millennial di gridare il loro linguaggio. Nel 2023 il tema fu il film «Persona» di Ingmar Bergman: parla di identità e rapporto con l’altro. Quest’anno il concetto è la fragilità. «Non intesa come rottura o disperazione», chiarisce la curatrice, «ma come la dichiarazione di poter arrivare a provare degli stati estremi di dolore e distruzione sapendo chiedere aiuto».
Artisti bresciani
Gli artisti e le artiste in mostra vengono tutti dall’Accademia SantaGiulia. Due la frequentano ancora: Daniele Piemontese ed Emma Castellani, che Bignotti ha conosciuto tramite «Final Critics» a Carme lo scorso giugno.
Hanno al massimo 25 anni e dichiarano tramite le opere «una cosa che noi adulti ci neghiamo: farsi male è possibile, ma contando sempre che c’è la possibilità di farsi del bene», dice Bignotti.
Anna Cancarini (del 1998) usa la scultura e propone calchi di corpi realizzati con bende e garze, usando anche oggetti della sua infanzia, bruciati e carbonizzati.
Emma Castellani (2001), lavora sulla possibilità di dare forma alla perdita subìta, puntando la luce sulla fragilità della relazione interrotta dei suoi genitori e dell’addio. Lo fa tramite centinaia di petali di rose bianche.
L’opera di Valery Franzelli (1998) è fatta di tanti piccoli contenitori e tavolette minuscole con vetri stratificati e cromatici: parlano dell’evoluzione delle cose e della loro fragilità. Anche il materiale stesso è molto fragile.
Lavoro forte e d’impatto è quello di Daniele Piemontese (2001), un’installazione che già si nota dall’esterno della galleria buttando l’occhio dentro. Le sue tre grandi sculture, intitolate «io, tu?», sono lastre di legno incurvate tenute insieme da morsetti.
Dentro, spiaccicati e compressi, ci sono degli elementi che rimandano alla sua storia. «Li vuole proteggere e nascondere», spiega Ilaria Bignotti. E quindi ci sono vecchi disegni, due tegole, le incudini su cui scolpisce. Secondo la curatrice, questo intervento ricorda un po’ l’arte povera.
Stefano Riboli (1998), artista digitale, qui utilizza dei giocatoli, rimandando di nuovo all’infanzia. «Una delle sculture è un cerbero di automobiline sul tema dell’incidente, altre immagini parlano di collisione e rottura».
Avitha Panazzi, infine, lavora sulla pelle e sulle cicatrici per parlare di fragilità del derma, ma anche di corpo che porta i segni del dolore. Ma lavora anche sulle cortecce, indagando lo stesso concetto e rimandando allo stesso significato.
Informazioni
La mostra sarà visitabile fino a mercoledì 9 ottobre negli orari di apertura dell’Aab, ovvero tutti i giorni esclusi i lunedì dalle 16 alle 19:30. L’ingresso è libero e gratuito.
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