«L’inquietudine perenne del colore, simbolo e cuore di ogni cosa»

L’«arte», intesa come opera d’arte, esperienza dell’artista, riflessione, o possibilità dell’«impossibile», per usare la categoria forgiata da Massimo Cacciari, è fondamentale per comprendere il rapporto dell’uomo con se stesso, con l’esperienza che fa delle cose e con ciò che la oltrepassa. L’arte – se così si può dire – stringe un patto con la filosofia nella parabola teoretica di Cacciari, che con le sue analisi «bordeggia» tra l’età rinascimentale e l’età moderna e contemporanea, approfondendo immagini e parole chiave di artisti dell’umanesimo – da Giotto a Dante, da Piero Della Francesca e Masaccio a Donatello e Michelangelo – e delle avanguardie, esaminate in linee artistiche diverse, da Delacroix e Cezanne a Van Gogh, ma anche Kandinskij, Klee, Duchamp, Giacometti.
A sigillo del patto si possono distinguere due opere emblematiche: l’«Angelus Novus» (1920) di Paul Klee che, con l’iconico tratto a disegno, è simbolo della coscienza di fronte alla catastrofe della storia; e il «Campo di grano con volo di corvi» (1890) di Vincent Van Gogh, che, nel trionfo dei colori, abbraccia le questioni ultime riguardanti il rapporto dell’uomo con il mondo e con Dio consegnandoci il suo testamento spirituale e artistico, di cui Cacciari dà lettura essenziale.
Due tappe anche editoriali: «Angelus Novus» è il nome della rivista da lui fondata nel 1964, che inaugurava nuovi studi di estetica; e ora «Van Gogh», un ritorno ai suoi importanti studi giovanili, dà il titolo al volume per la prima volta interamente dedicato a un pittore, nel quale teoresi, critica d’arte e immagine trovano un connubio unico.
Tappe simboliche. Professore, si può parlare di una «ideale contemporaneità» tra lo sguardo del filosofo e l’operare dell’artista?
È lo sguardo del serpente, che accomuna la filosofia, la religione e l’arte: il vedere che incanta, arresta su un limite invalicabile. Il vedere è verbo artistico per eccellenza. Eterno presente, di cui è figura l’Angelo di Paul Klee, che testimonia il mistero in quanto mistero, trasmette l’invisibile in quanto invisibile, non lo «tradisce».
Ci si riferisce spesso alla vita artistica come a un disimpegno o a una via di fuga. Nei suoi scritti mostra il contrario: l’attaccamento dell’artista alla realtà. Se è così, in che cosa consiste il «disagio estetico» contemporaneo?
Rispondo con una domanda. Straniero sulla terra non è chi ne ama le cose con tanto folle amore da intuirle sotto specie di eternità, come se fossero eterne? L’opera d’arte non è destinata, allora, ad esprimere tale follia: la laetitia di vedere che ogni cosa in Deo comporti per necessità l’essere straniero sulla terra? Questo è il disagio, disagio estetico come lei lo vuol chiamare, che accomuna il movimento riflessivo-immaginativo dell’arte contemporanea. L’arte è estraneamento: non è fuga dalla realtà, è problema. È la cosa stessa nel suo apparire, che ci spinge alle domande: Perché? Da dove?
I suoi scritti più teoretici sono costellati di riferimenti artistici: qual è il nesso costitutivo che lega arte, filosofia e teologia? E, ancora, l’arte è necessaria oppure no?
Se si comprende davvero la collocazione dell’arte nelle più grandi riflessioni filosofiche che l’Occidente abbia prodotto - e subito frainteso - cioè l’estetica di Platone e di Hegel, si dovrà dire che non della sua «morte» si tratta, quanto piuttosto della sua «necessità». L’arte infatti rappresenta un intramontabile principio dialettico per cui la verità non sarebbe senza il suo «negativo». E qui sarebbe più opportuno parlare non di morte dell’arte ma del suo trapassare: in che cosa? Nell’arte intellettuale, ironica, sperimentale, destrutturante, che ha un emblema in Duchamp.
Stando al suo linguaggio, se la verità «trapassa» i colori «trascolorano»: qual è il significato estetico del colore?
Il colore è simbolico. Talvolta dissonante: in Van Gogh il colore non significa, ma si dà in disperate, dissonanti simpatie. Non allude, non rimanda, è quella religio in perenne inquietudine, poiché inquietum è il cuore di ogni cosa.
Già nell’impressionismo – da Delacroix a Monet – il colore è dominante: quali sono i tratti di continuità e discontinuità rispetto a Van Gogh?
Van Gogh rappresenta una linea dell’arte contemporanea che si oppone a quella dell’impressionismo: mentre l’impressionismo disfa la cosa, riduce la cosa ad impressione, come dice il nome stesso, per Van Gogh è la cosa, la res, che va vista, che va sentita, che va saputa, che va valorizzata: la cosa è il nostro pane quotidiano, ma nel senso evangelico: sovraterreno.
Se il colore diventa simbolico, come cambiano le forme nell’arte contemporanea?
Quello che si è detto per il colore si può dire per le forme. La forma artistica diventa forma astratta, che può sembrare una contraddizione in termini ma non lo è; piuttosto è coerenza con se stessa. L’arte contemporanea può esistere solo come riflessione; ogni bellezza, ogni immediatezza, ogni armonia debbono essere negate. Anzi, essa ne rappresenta appunto la effettuale negazione, la «morte». Nel ‘900 lo si coglie in modo esemplare nell’opera di Giacometti. La forma, figura tende a sparire, implode.
È questo il disagio ma anche il segreto dell’arte: sapere e riflettere su ciò che non è rappresentabile?
L’artista combatte questa «necessità», ma alla fine, è costretto a assecondarla (e ne ha «terrore»). La figura ha come la nausea a manifestarsi. E questa nausea è espressa dall’artista col cancellarne la stessa presenza. Il venire meno della rappresentazione, come nell’astrattismo di Kandinsky che è anelito allo spirituale, è la testimonianza di un’arte che vuole rimanere necessaria in un mondo dominato dalla scienza. L’arte mostra come la necessità della verità consista nel suo trapassare nell’apparire. La dimensione del trapassare, cioè la morte che appartiene all’essenza stessa della verità è il sapere stesso - tragico - dell’arte. Ma questa non è la morte dell’arte, tutt’altro: se viene meno l’arte, o se l’arte si riduce a rappresentazione superflua, viene meno il senso stesso del nostro essere, che sempre anela al trascendente.
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