Arte

A Palazzo Martinengo la luce di Uberti nel mondo di Faita

Giovanna Galli
L’omaggio al maestro di Light Art scomparso da poco intreccia il percorso dedicato al concittadino nella mostra «Di segni e icone»
  • La mostra di Uberti e Faita a Palazzo Martinengo
    La mostra di Uberti e Faita a Palazzo Martinengo - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
  • La mostra di Uberti e Faita a Palazzo Martinengo
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    La mostra di Uberti e Faita a Palazzo Martinengo - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
AA

«Di segni e icone», di tracce minime e grande potenza evocatrice, possiamo dire della mostra allestita nelle sale di Palazzo Martinengo che affianca il lavoro di Bonomo Faita (Brescia, 1955) e Massimo Uberti (Brescia 1966-2024).

Due voci limpidissime nel panorama artistico contemporaneo: entrambi bresciani di nascita, entrambi protagonisti della scena nazionale e internazionale con un fitto e prestigioso curriculum espositivo, i loro diversi percorsi hanno tracciato scie indelebili che la rassegna porta in primo piano, evidenziandone anche insospettabili prossimità, assonanze, delicati intrecci.

Massimo Uberti, scomparso prematuramente a 57 anni lo scorso aprile, riceve in questa occasione un omaggio postumo che, grazie all’incontro del suo lavoro con quello di Bonomo Faita, perde ogni sapore malinconico, ricordandoci che l’opera d’arte è un atto di resistenza alla caducità, in cui i confini del tempo e dello spazio si sfaldano e la voce di chi non c’è più continua, cristallina, a pronunciare il suo messaggio.

Light Art

Nel caso di Uberti un messaggio di luce, che si dipana in quelle dimensioni di infinito e di eternità che ricorrono tra i fondamenti della sua ricerca. La sua fama è infatti legata alle grandi installazioni luminose, cui l’artista si è dedicato da quando, dopo gli esordi come pittore e la sperimentazione con la fotografia, aveva trovato nel neon lo strumento ideale per la sua rigorosa indagine estetica. Tra i più grandi interpreti della Light Art, ha continuato a esplorare le dimensioni dello spazio e del tempo, del presente e del passato, della casa e della città, ricostruendo con la luce una dimensione poetica in cui ricollocare la realtà ed esprimerne l’essenza.

Il neon «Lost and Found» di Massimo Uberti - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
Il neon «Lost and Found» di Massimo Uberti - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it

Il percorso

La mostra ricostruisce il suo intero percorso, accostando alle opere luminose dipinti, arazzi e ceramiche. Nella sala introduttiva, l’unica dove opere di Faita e Uberti si trovano affiancate, troviamo gli «Archetipi», che fissano pittoricamente i capisaldi del suo lavoro (il varco, la casa, la scala, l’ellisse, la pianta urbana), ricorrenti poi in diverse opere emblematiche esposte nella saletta multimediale e nelle sale del primo piano. Qui brillano alcune parole luminose che scandiscono il suo vocabolario concettuale – come «Lost and Found» e «Spazio Amato» –, si trovano le inedite installazioni «Le ore», in mattoni ceramici, e «Pensieri circolari», e balugina l’oro (altra forma di luce cara all’artista) della grande installazione «After the Gold rush» ispirata al tema-chiave della Città ideale.

Visione onirica

Di segno diverso, ma ugualmente evocativo a livello concettuale è il delicatissimo mondo espressivo di Bonomo Faita che trova posto nelle sale del pian terreno e del mezzanino. Anche Faita fa ricorso ad un repertorio ricorrente di simboli, archetipi, temi che rimandano ad un sistema di riferimento in cui il mondo è reinterpretato in una visione dove la fantasia si nutre di conoscenza, una cultura profondissima, mai ostentata, ma che è il vero strumento di decodifica del suo racconto, dove la fiaba si mescola alle citazioni letterarie e visive e l’infanzia all’età adulta, alternando sorrisi e malinconia. La luce, l’oro, i libri, gli spazi vissuti ed abitati, l’eredità classica, le nuvole e la notte che si accende di stelle sono un filo rosso che idealmente intreccia le ricerche dei due artisti.

Bandiere di ogni foggia e ispirazione nell'opera di Bonomo Faita - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
Bandiere di ogni foggia e ispirazione nell'opera di Bonomo Faita - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it

Universi poetici

Faita è un instancabile costruttore di piccoli universi poetici che nascono da una grande laboriosità, una serialità operativa dove si stratificano prevalentemente il disegno e la fotografia, ma che mescola, usa e riusa tecniche, materiali e oggetti in un intelligente lavoro di assemblaggio, ritocco, manipolazione da cui prendono vita immagini apparentemente minime, ma che, come improvvise epifanie, straripano di senso ed emozione.

Lo spazio espositivo è completamente ridefinito da installazioni in cui opere del passato (a partire dagli anni Ottanta e Novanta) e del presente si connettono le une alle altre, innescando anche nella relazione reciproca quel meraviglioso senso di spiazzamento, di matrice ludica, ironica, fiabesca, a volte inquietante e spietatamente sarcastica, che caratterizza tutti i lavori, anche grazie ai titoli che li accompagnano come parte integrante dell’azione creativa («Lightbox», «Disegno che dorme», «Bucato»).

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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