Cultura

Arte contemporanea e spiritualità secondo Giovanni Rossi

È il 25enne bresciano che ha vinto il prestigioso premio promosso dal Museo di Concesio dedicato a Paolo VI
SPIRITUALITA' NELL'ARTE
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È l’artista più giovane tra i 10 finalisti selezionati per l’attuale edizione. Anzi: è il più giovane in assoluto, considerando anche quelle passate. Ed è il terzo bresciano ad aggiudicarsi il prestigioso riconoscimento. Ama i primati, Giovanni Rossi (classe 1996), vincitore della nuova edizione del «Premio Paolo VI per l’Arte Contemporanea», promosso con cadenza biennale dall’omonimo Museo di Concesio. Ha primeggiato tra 115 candidature, giunte da tutte Italia. Dopo l’annuncio ufficiale, dato dal direttore del Museo Paolo Sacchini, Rossi si prepara così alla mostra personale che lo vedrà protagonista nell’autunno 2022. E risponde alle nostre domande.

Partiamo dalle opere: le tre «Deposizioni» e «Bianco quanto basta» l’hanno portata sul podio. Ce le racconta? Le «Deposizioni» sono un viaggio che l’uovo compie alla ricerca di uno spazio nel quale essere accolto. Volevo mostrare come anche luoghi apparentemente inospitali - in questo caso un groviglio di rovi dorati, un cuscino di cemento e un solido geometrico - possono modificare la propria forma per ospitare una nuova nascita e divenire luogo per l’accoglienza. «Bianco quanto basta», invece, è una superficie bianca dentro una cornice barocca, al cui interno si trova un crocifisso dipinto di bianco che si palesa solo grazie alla sua tridimensionalità, spezzando così la monotonia bidimensionale della monocromia. Le opere alludono all’avvento di Cristo nel mondo che, tramite la sua venuta, trasforma la nostra quotidianità.

Come s’inseriscono questi lavori all’interno della tua ricerca generale? L’indagine sulla dimensione spirituale è sempre presente nel mio lavoro. Talvolta il riferimento alla cultura cristiano-cattolica è maggiormente esplicito, altre volte lavoro sviluppando un concetto più ampio di spiritualità in cui tutti, anche persone non credenti o di diverse confessioni, hanno la possibilità di riconoscersi. Forse è ingenuo, ma quello che cerco di fare è rinnovare il repertorio iconografico legato alla rappresentazione religiosa, lavorando sui vari simboli a cui affido il mio messaggio.

Cosa ha significato esporre e confrontarti con colleghi con alle spalle carriere di lungo corso e percorsi strutturati? Molto, anche se purtroppo a causa della pandemia lo scambio relazionale è mancato moltissimo. Il dialogo è avvenuto più che altro con le loro opere, di fronte alle quali ho riletto le mie nella loro fragilità. Al cospetto della grandezza di alcuni - non solo a livello di carriera, ma anche d’impatto dei lavori nello spazio - ho percepito le mie come «sculture da mensola». Così mi sono posto la domanda: come posso conferire dignità al mio lavoro senza che sia fagocitato dallo spazio? È stato importantissimo, perché cercare risposte fornisce direzioni.

Peraltro non solo ha vinto, ma è il terzo bresciano ad aggiudicarsi il riconoscimento. Prima di lei, Daniele Salvalai (1979) nel 2016 e Armida Gandini (1968) nel 2018. La tradizione prosegue ed è una bella responsabilità... Io credo che gli artisti bresciani abbiano molta affinità con questo tema - che nel panorama nazionale può essere considerato una nicchia - proprio grazie alla traccia che Papa Montini ha lasciato. Forse, a differenza dei vincitori precedenti, per me non è il coronamento di un percorso avviato bensì un punto di partenza. È la prima volta che vinco un premio, e il fatto che sia accaduto in un luogo a me così caro e importante per la mia formazione mi rende felice e mi colpisce allo stesso tempo. Il messaggio rivolto da Paolo VI agli artisti ha sempre motivato il mio lavoro e questo Museo mi ha nutrito moltissimo visivamente, tramite mostre e incontri con gli artisti. Ricordo il giorno in cui vi ho messo piede per la prima volta: ero uno studente al primo anno dell’Accademia di Belle Arti SantaGiulia, rimasi affascinato dalla storia incredibile della Collezione e pensai: «Un giorno esporrò qui».

Ora il pensiero è focalizzato sulla mostra personale che la vedrà protagonista, nella medesima sede, nell’autunno 2022. Sarà una grande sfida confrontarsi con volumi e uno spazio espositivo complessi. Ha già pensato cosa esporre? Sicuramente opere nuove, frutto del mio costante bisogno di crescere e quindi andare oltre nel lavoro di ricerca. Vorrei che il tema fosse quello del viaggio dell’uomo attraverso le fragilità poste lungo il cammino che la condizione umana impone. La dimensione spirituale sarà quindi meno legata all’iconografia, in favore di maggiore universalità. Ad, esempio: se le opere di oggi propongono - sia pur in maniera mediata dal simbolo - riferimenti diretti al tema cristologico, per il 2022 vorrei lavorare sul carattere metaforico tra oggetto e parola, con collegamenti non scontati tra le dimensioni dell’immanente e del trascendente.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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