Cultura

Applausi al Grande per la Vanoni e Peppe Servillo

Fotogrammi in canto, ciascuno col suo bagliore. Così Ornella Vanoni - diversamente giovane, con le sue 77 primavere - e Peppe Servillo, mattatori per un'ora e mezza al Grande, gremito, plaudente, appagato ieri sulle arie de «Le canzoni della mala» (la serata era ad inviti). Resa musicale e vocale d'una raffinatezza da visibilio. Canzoni rivisitate in chiave jazzistica.
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Fotogrammi in canto, ciascuno col suo bagliore. Così Ornella Vanoni - diversamente giovane, con le sue 77 primavere - e Peppe Servillo, mattatori per un'ora e mezza al Grande, gremito, plaudente, appagato ieri sulle arie de «Le canzoni della mala» (la serata era ad inviti).

Chi pensa a canzoni lise prende una cantonata, perché la resa musicale e vocale è stata d'una raffinatezza da visibilio. Canzoni rivisitate in chiave jazzistica (soffice, soffice) all'occorrenza, con uno «spissighì» (via, un filo di dialetto nostro!) di Piazzolla, se insaporisce, fra l'irruenza della «Guapparia» e l'ironia tragica de «L'Armando».

Un'operazione che ridà conto d'una grammatica... sgrammaticata della vita, malavita, o meglio, vita mala, quella dolente e tragica napoletana, fatta di «femmene bugiarde» che tolgono «'o suonne e fantasia», o la milanese, dei tram e dei malavitosi... buoni e folli...

C'era un rischio: dare ai brani il tono del loro tempo andato. Ornella e Peppe non ci sono cascati. Canzoni Anni Trenta (I' songo 'n carcere e mamma more...) avrebbero fatto ridere se non ricucite col filo d'oro del disincanto. Poi i tre musicisti: al pianoforte l'argentino Natalio Mangalavita, ricco di sonorità inedite; Emanuele Smimmo, perfetto alle percussioni; Federico Odling al violoncello, autore anche degli arrangiamenti, semplicemente mirabile. Giuseppe Ragazzini ha curato le belle immagini del fondale, vicoli, scorci, tram, panni stesi, cieli di cirri e solari della vecchia Milano, dell'eterna Napoli.

Ornella Vanoni e Peppe Servillo si sono alternati: più spazio al dialetto napoletano che al milanese, sicuramente più ostico mano a mano che si scende lo Stivale e quindi, accortamente, anche tanto italiano per una più universale comprensione dei testi. Servillo, poi, ce l'ha messa tutta per essere vocalmente cristallino, mentre la Vanoni è apparsa maggiormente tesa a qualche sfumatura in più sulla parte musicale. Non poteva mancare la celebre «Ma mi...», così come impossibile evitare i bis, con un «Grazie alla vita» della Vanoni, quasi riconoscente omaggio a quel «che mi ha dato tanto».

Finale sorprendente, con la romanesca «Porta Romana», al ritmo d'indiavolata rumba. Doppi sensi a gogò. Doppi applausi.
Egidio Bonomi

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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