«Amori nel fragore della metropoli»: tre inediti di Scarpelli
Romanzi, racconti, disegni, acquarelli, bozzetti per i personaggi di film, ritratti. Furio Scarpelli che da solo, o in coppia con Age, ha firmato i migliori titoli della commedia all'italiana, non era semplicemente uno sceneggiatore. Era un artista che viaggiava su molte dimensioni come mostra ora anche la grande quantità di inediti che ci ha lasciato. Per il centenario della nascita, il 16 dicembre 1919 a Roma, esce «Amori nel fragore della metropoli» (Sellerio), in cui il figlio Giacomo ha raccolto tre racconti mai usciti, «Ivano», «Il tonno, la seppia e il maccarello» e «Sonato» e dal 16 dicembre saranno esposti alla Casa del cinema di Roma una scelta di riproduzioni delle opere grafiche di Scarpelli, morto a Roma nel 2010.
«Mio padre ha sempre detto che per fare bene il cinema bisogna portare al cinema cose che non gli appartengono perché è un'arte fatta di tutte le arti. È inferiore e superiore rispetto alle altre» racconta all'Ansa Giacomo Scarpelli, docente universitario di filosofia, che da quando aveva 12 anni ha lavorato con il padre. «Battevo a macchina i suoi copioni. Il cinema era di casa» dice Giacomo al suo arrivo alla fiera della piccola e media editoria «Più libri più liberi», alla Nuvola di Roma.
«Mio padre odiava quelli che si riferivano soltanto al cinema. Sottolineava sempre che il testo che precede la sceneggiatura è più importante della sceneggiatura stessa» spiega Giacomo Scarpelli e tira fuori dalla tasca un foglio con un breve testo che ha trovato sulla scrivania del padre e che considera una sintesi del suo pensiero sul fare cinema: «Scrivere una buona storia senza pensare che esista il cinema, se ci riesci ecco che sei già un autore. Non ti resta che fare il passo successivo, diventare cineasta» dice il brano. Tre le scrivanie ideali che Giacomo ha immaginato per il padre: la prima dedicata alle sceneggiature dai film di Totò a La grande guerra, L'armata Brancaleone, I soliti ignoti, C'eravamo tanto amati, al Postino. La seconda piena di penne e pennini dedicata al disegno, la sua prima professione, cominciata a 13 anni quando morì tragicamente il padre, il giornalista e illustratore Filiberto, tra l'altro fondatore con Vamba del «Giornalino della Domenica».
«Ci lascia un patrimonio sommerso di disegni» racconta.
E la terza scrivania è quella della narrativa che riserva tanti inediti, tra cui, annuncia Giacomo «un paio di romanzi. Uno verrà pubblicato da Sellerio nel 2020. Si chiama «Si ricorda di me Signor Tenente», è ambientato tra le soglie del 2000 e gli anni della seconda guerra mondiale. Racconta di un pensionato che viene avvicinato da un ex commilitone che poi cercherà di truffarlo. L'altro è «Cuore di mafioso» su cui ho lavorato anche io. E poi ci sono tanti racconti, più o meno cinquanta». «Amori nel fragore della metropoli» sono racconti omogenei, sentimentali, anche strazianti, ambientati nel caos della città eterna, con anime alla ricerca di un riscatto« dice figlio di Scarpelli. «A proposito di scrivanie, abbiamo lavorato tanto insieme, eravamo allievi suoi con Paolo Virzì e Francesca Archibugi, Graziano Diana e qualche altro» ricorda Giacomo. Paolo Virzì parla all'Ansa di Furio come di un grande maestro che «ci lascia una straordinaria curiosità verso gli altri. Ci lascia il divertimento di indossare quel tipo di occhiali compassionevoli e spiritosi e sagaci nell'osservare la vita. Un'impronta profondamente umanistica nello sguardo verso i subalterni, dove va a cercare sofferenza sentimentale. Anche questo libro raccoglie questa particolare prerogativa di Furio, dare dignità agli ultimi. Era un maestro vero, ha sempre amato circondarsi di persone e condividere. Ha fatto tantissimo per gli altri e magari poco per se stesso. Ed è commovente e anche un pò straziante che solo 9 anni e mezzo dopo la sua morte esca un libro di narrativa di suoi racconti. Si divertiva a indossare la modestia come abito. «Ho la vanità della modestia» diceva. Abbiamo scritto tanti film insieme di cui era il fulcro, ma al momento del rapporto con i media si defilava. Si sentiva parte di un gruppo piuttosto che esibire l'ego. È stata una grande lezione morale».
Dare voce a chi non la ha era la sua vocazione anche secondo il figlio. «Rimane oggi come esempio di storie comiche, ma su una sostanza assolutamente drammatica e questo si è perso. Come dice Flaubert un autore deve dare l'impressione di non essere mai esistito, è tutto nelle proprie opere. E questo vale come epitaffio».
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