Cultura

Al Sociale la commedia degli equivoci che non stanca mai

Fino al 23 febbraio in via Cavallotti a Brescia è in programma «La pulce nell’orecchio» di Georges Feydeau nell’adattamento di Carmelo Rifici con Tindaro Granata: la recensione
Al Sociale la commedia di Feydeau diretta da Rifici
Al Sociale la commedia di Feydeau diretta da Rifici
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La commedia degli equivoci non passa mai di moda. Possono cambiare i registri, i temi, il ritmo, ma resta uno dei generi teatrali più godibili e amati dal pubblico trasversale. Perché fa ridere, ma anche perché nelle pieghe dei dialoghi e nella confusione si trova sempre qualcosa su cui indugiare per una riflessione più lenta.

«La pulce nell’orecchio»

È il caso de «La pulce nell’orecchio» di Georges Feydeau, che nella regia di Carmelo Rifici (che ha curato l’adattamento insieme a Tindaro Granata, anche in scena) è in programmazione al Teatro Sociale fino a domenica 23 febbraio.

Mercoledì sera la prima era gremita e tutto il teatro ha riso delle caratterizzazioni di un cast comico che funziona come un orologio dei più sopraffini e di un copione del secolo scorso che resta modernissimo. Un po’ grazie alla regia e alla macchina scenica, semplice e azzeccatissima (semplici blocchi di gommapiuma che diventano pareti e materassi), un po’ – di nuovo – per il cast. E un po’ perché tradimenti, incomprensioni e flirt sono evergreen.

In ordine alfabetico vanno citati tutti, i componenti del cast: Giusto Cucchiarini, Alfonso De Vreese, Giulia Heathfield Di Renzi, Ugo Fiore, Tindaro Granata, Christian La Rosa, Marta Malvestiti, Marco Mavaracchio, Francesca Osso, Alberto Pirazzini, Emilia Tiburzi e Carlotta Viscovo. Perché se in alcuni momenti spicca qualcuno (Raimonda e Vittorio Emanuele, ma anche il cugino Camillo con il difetto di pronuncia che si è preso gran parte delle risate), la coralità di questa pièce è quello che la caratterizza più di tutto.

Linguaggio e stereotipi

Al Sociale la commedia di Feydeau diretta da Rifici
Al Sociale la commedia di Feydeau diretta da Rifici

Feydeau (e poi Rifici con Granata) usa gli stereotipi culturali e le barriere linguistiche, insieme alla più classica confusione delle somiglianze fisiche, per basare i suoi equivoci, ma senza scadere nella volgarità o nella denigrazione. I personaggi che gli attori interpretano sono macchiettati ed esagerati, ma allo stesso tempo leggeri e comprensibili, ed è attraverso questa impostazione che parlano di relazioni, aspettative, ascolto, incomprensioni, stranezze e normalità. Come in un comico «Lost in translation» di inizio Novecento.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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