Al Festival della Pace gioventù e speranza: Brescia crede nell’Africa
Un continente complesso, ricco di cultura e tradizioni ma ridotto a «un buco nero nell’informazione globalizzata», che se ne occupa solo per le violenze che in certi luoghi e periodi lo sconvolgono. Un continente giovane, nel quale possono nascere speranze e anche esempi straordinari di una riconciliazione fiorita su sofferenze indicibili.
L’Africa sarà per venti giorni al centro del Festival della Pace, inaugurato ieri, nel salone Vanvitelliano di palazzo Loggia, dalla sindaca Laura Castelletti con Roberto Rossini, presidente del Consiglio comunale, e il consigliere provinciale Filippo Ferrari. Oltre 60 eventi faranno della nostra città «un luogo di resistenza possibile e di educazione alla pace», ha detto Rossini, a fronte dei «56 conflitti in atto in questo momento nel mondo, il numero più alto dal 1945». Brescia sarà un «luogo di riflessione e ascolto di chi lotta per la dignità umana» secondo Laura Castelletti, attraverso un festival che «rispecchia lo spirito di inclusione della nostra comunità» e ci ricorda che «la pace è una responsabilità che ognuno di noi è chiamato a condividere».
Riflessione
Tra le storie provenienti dall’Africa, lontane dagli stereotipi a cui siamo abituati, uno spunto importante di riflessione – ha sottolineato la sindaca – arriverà dalle donne, «dalla loro lotta silenziosa e coraggiosa per i diritti umani e la giustizia sociale». Un’importante protagonista di questa lotta è Godeliève Mukasarasi, che ha raccontato pochi giorni fa la sua esperienza in una bella intervista al nostro giornale.
Ieri ne ha parlato con la giornalista Anna Pozzi: Godeliève è la fondatrice di Sevota, l’associazione che in Ruanda ha assistito oltre 70 mila vedove e orfani vittime del genocidio del 1994. Ha rievocato la «barbarie totale» di quei giorni, i massacri pianificati, anche di donne e bambini, gli stupri di gruppo. E ha raccontato del suo impegno, iniziato con altre donne già nel ’94, per «creare una cultura di pace, comprendendo che doveva cominciare da noi stesse. Attraverso la formazione, ma anche con azioni concrete di un processo collettivo di riconciliazione».
Per le donne coinvolte è stato «un grande lavoro di ricostruzione di sé stesse e di autoguarigione», grazie al quale alcune di loro hanno trovato il coraggio di testimoniare nel Tribunale penale internazionale per il Ruanda dell’Onu. Pochi mesi fa, Sevota ha contribuito alla nascita del primo Giardino dei Giusti dell’Africa sub-sahariana: vi è ricordato anche il console onorario Pierantonio Costa che nel 1994 salvò dalla morte quasi duemila persone.
Una storia meno dura, ma altrettanto vocata alla costruzione del dialogo, è quella di Mohamed Ba, artista e educatore, nato in Senegal e da 22 anni in Italia. Si definisce un «senegaliano», all’incrocio tra due identità, e ieri ha parlato del suo lavoro per «decolonizzare l’immaginario» attraverso l’arte, allo scopo di superare le diffidenze reciproche tra i due popoli.
Anche quelle degli africani, abituati a pensare che l’«altro» arrivi solo per portare saccheggi e sfruttamento: «In Africa non c’è la Giornata della memoria, perché per ricordare gli eventi terribili non basterebbero 365 giorni». Ma oggi è importante far comprendere che «le differenze culturali sono la bellezza dell’umanità».
Era un uomo del dialogo anche David Sassoli, il presidente del Parlamento europeo, scomparso nel 2022. Alla sua memoria è andato il Premio Brescia per la pace, consegnato alla moglie Alessandra Vittorini dall’assessora Camilla Bianchi, presidente del Coordinamento provinciale degli enti locali per la pace e la cooperazione internazionale, giunto a contare 41 aderenti. «Uomo di cultura, di mediazione e visione, costruttore di pace, Sassoli – ha detto Bianchi – invitava a trasformare la paura in solidarietà, attraverso una società viva, plurale e dialogante».
Anche lui – lo ha ricordato Alessandra Vittorini – esortava a non dimenticare che la pace europea era «costruita sul dolore: dalle due guerre mondiali erano venuti gli anticorpi per resistere. Gli ultimi due anni sembrano raccontare tutta un’altra storia, molto di quello spirito si è andato un po’ dissolvendo. E questo ci preoccupa».
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