Tener-a-mente parte col botto: è di scena l’ineffabile Beck
.Al Vittoriale è di nuovo tempo di musica. E che musica! Si entra nel vivo di "Tener-a-mente", il festival diretto da Viola Costa: dopo l’intro cabarettistica affidata all’avvolgente affabulazione di Bergonzoni, sul palco gardonese è atteso l’ineffabile Beck, uno dei songwriter più geniali a cavallo tra 20º e 21º secolo.
Quella di stasera (alle 21.15, biglietti esauriti, info su www.anfiteatrodelvittoriale.it), oltre che la prima volta di Beck al Vittoriale, è anche l’unica data italiana confermata di un tour in origine più articolato, programmato nel 2020 e più volte differito per il persistere dell’emergenza sanitaria.
Polistrumentista, cantante, autore, Beck (il cognome d’arte, Hansen, si è perso per strada) risulta essere Bek David Campbell all’anagrafe di Los Angeles, dov’è nato nel 1970, in una famiglia in cui ha respirato musica fin da piccolo: il padre David è infatti un compositore canadese di genitori scozzesi, mentre la madre Bibbe Hansen, di ascendenze scandinave, è una delle poliedriche artiste che ruotarono intorno a Andy Warhol.
Il terzo disco di Beck, nel 1994, fu una folgorazione per pubblico e critica, una volta tanto concordi nel gridare al capolavoro al cospetto di «Mellow Gold»: di certo è «un vero e proprio sunto dell’etica e dell’estetica postmoderna in musica», con il musicista californiano che rielabora in chiave personale la musica più innovativa di matrice black (ma non solo), realizzando un vorticoso patchwork di generi, in cui si fondono hip-hop, blues, rock, folk acustico, country, dance, sperimentazioni industrial, derive noise.
Da lì in poi, si è dispiegato un percorso artistico di altissimo livello, che non offre tuttavia punti di riferimento fissi, e si dipana tra una quindicina di album che nascono indie per diventare spesso successi su larga scala, ma quasi sempre con abito smaccatamente "lo-fi" (dove il suono è volutamente di bassa qualità, ostentatamente "sporco").
La vetta
La vetta è rappresentata da «Sea Change» del 2002, dove è il folk a farla da protagonista, con c
anzoni dalla scrittura meravigliosamente ironica, arrangiamenti lunari, orchestrazioni che pagano volentieri un tributo alle creazioni di mostri sacri quali Neil Young e Nick Drake. Una traiettoria caratterizzata da centellinate apparizioni pubbliche, in aderenza a un’indole parecchio schiva e appartata, ma senza rinunciare a collaborazioni di prestigio (da Jon Spencer Blues Explosion a Marianne Faithfull, dai Pearl Jam ai White Stripes, e poi Childish Gambino, Lady Gaga, Philiph Glass, Paul McCartney), a incursioni produttive (per Sia, Charlotte Gainsbourg, Jamie Lidell, Thurston Moore), a contributi per colonne sonore. Ad oggi, i numeri - che pure in musica non sono decisivi, ma qualcosa contano - sintetizzano così la carriera di Beck: 7 Grammy Awards, 3 Brits Awards, numerosi dischi d’oro, di platino e doppio platino.
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