Cultura

Stewart Copeland «rilegge» i Police e fa ballare sotto la pioggia

Vittoriale sold out per l’ex batterista della band che evoca, spiazza e diverte
  • Stewart Copeland in concerto al Vittoriale
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    Stewart Copeland in concerto al Vittoriale
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Police sinfonici e bagnati, nel segno di Stewart Copeland, con un finale da «Singin’ in the Rain».

È accaduto al Vittoriale, dove una (giovane) orchestra trentina, tre cantanti afroamericane di grande potenza e varietà vocale, un chitarrista e un bassista, un pianista (Vittorio Cosma di Elio e le Storie Tese), hanno affiancato il batterista, fondatore e membro statunitense dei leggendari Police: palco sovraffollato dunque, come l’anfiteatro (sold out da settimane), nonostante il cielo promettesse catinelle di pioggia, che in effetti sono arrivate, accorciando (di poco) il live senza annientarlo.

Copeland occupava un angolo della scena, ma di fatto la dominava con personalità debordante, voglioso di suonare e di raccontarsi, di giocare con il pubblico. La prospettiva di «Police Deranged for Orchestra» non è inedita, ma ad ogni modo singolare: rileggere lo straordinario repertorio di una band che ha segnato come poche altre la musica tra gli anni 70 e 80, introducendo una strumentazione lontana da quella originale.

Nuova lettura

Poiché l’artefice di tale operazione è parte integrante di quella storia, non c’è aria di profanazione o scimmiottamento, solo il desiderio di offrire una chiave di lettura anche stravolgente, comunque rinnovata. Che talvolta funziona, pur spiazzando per quanto è ardita («King of Pain», «Roxanne»), talaltra accende la perplessità («Demolition Man»).

Copeland esalta le figure dei suoi antichi compagni d’avventura, Andy Summers e Sting, introducendo «Murder by Numbers», firmata da entrambi: i bassi pulsano forse un po’ troppo, e il muro di suono ci allontana dalle atmosfere rarefatte e dai ritmi in levare, dal groove inconfondibile del trio. Che riappare d’incanto con «Spirits in Material World» e «One World», preludio a una versione molto swingata (e decisamente bella) di «Walking on the Moon», con assolo centrale del drummer, in gran spolvero.

Poi Copeland prende il posto del direttore d’orchestra (e viceversa) per una sua composizione sinfonica, la notevole «The Equalizer Busy Equalizing», unico pezzo dello show estraneo alla produzione dei Police; segue la splendida «Every Breath You Take», abbastanza vicina al prototipo e, mentre i lampi si fanno insistenti, Copeland si cimenta alla chitarra per «The Bed’s Too Big Without You», forse il pezzo più pallido in scaletta. Tutti di nuovo ai loro posti, invece, per la magnifica accoppiata «Don’t Stand So Close To Me» e «Message in a Bottle», che sembrerebbero segnare il finale anticipato, perché intanto ha preso a diluviare.

Ma Copeland non ci sta: mentre si coprono piano e casse, e in platea si indossa i k-way, decide di non abbandonare la nave e anticipa il pezzo di congedo, «Every Little Thing She Does Is Magic»: tutti a danzare sotto la pioggia, applaudendo e cantando a squarciagola.

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