Perché i Camuni ballavano, e perché lo facevano tutti i popoli antichi?
Perché l’uomo, fin dalla notte dei tempi, ha sentito l’irresistibile impulso di danzare? E perché questa attività atavica è stata così a lungo trascurata dagli studiosi, che l’hanno genericamente etichettata come atti rituali propiziatori? Basterebbero queste due domande per dire dell’importanza e della novità del volume, denso di testi e immagini, che Gaudenzio Ragazzi ha pubblicato per il Centro camuno di studi preistorici. «La danza delle origini. Corpo, gesti e suoni della preistoria»: il titolo traccia il recinto, finora inesplorato, della ricerca. Il volume sarà presentato all'Università Cattolica di Brescia il 19 aprile (via Trieste, Sala delle Gloria, ore 17)
Perché i Camuni ballavano, e perché lo facevano tutti i popoli antichi?
La danza costituisce uno dei più importanti linguaggi del sacro per l’uomo preistorico. È la schematizzazione di alcuni comportamenti che la comunità elabora per arrivare a degli obiettivi. La danza rievoca un atto archetipico compiuto da un’entità che controlla l’universo e quindi consente la nostra sopravvivenza. Tutto quello che accade nell’universo ha un ritmo, un ritmo ciclocosmico. La danza e la musica sono forme sacre di interazione con l’universo. Ma hanno anche un forte valore sociale, di annullamento delle differenze, per favorire la coesione.
Ma come possiamo studiare e riscoprire quel mondo antico e in gran parte misterioso?
Questa è la sfida. L’approccio tradizionale storico parte dal punto più lontano e quindi meno conosciuto. Il metodo ricostruzionista cerca di interpretare il passato con i parametri di oggi, utilizza i gesti del balletto moderno per comprendere la danza antica. Io cerco di attuare un approccio iconografico. Le difficoltà maggiori per gli studiosi derivano proprio dal fatto che l’oggetto della ricerca è prima di tutto una serie di immagini, il cui approfondimento richiede l’elaborazione di nozioni preliminari relative al linguaggio figurativo, che esprime una perfetta identità e risonanza tra elemento corporale e spirituale.
Questo intende quando parla di gesto, corpo e incarnazione della mente?
Noi abbiamo una nozione di corpo che è assai diversa da quella che aveva l’uomo preistorico. Prima per Platone e poi per Cartesio, abbiamo maturato l’idea del corpo separato dallo spirito, come prigione dell’anima. La concezione arcaica esprime invece una perfetta identità tra elemento corporale e spirituale. Il metodo di indagine che utilizzo in questo libro, che definisco «Archeologia del sapere», si sviluppa dall’idea che, poiché la cultura occidentale è logicamente in continuità con la tradizione che l’ha preceduta, essa è ancora in simbiosi con parte del sapere custodito dall’immagine.
Siamo ancora in grado di individuare i punti in connessione con il sapere dell’uomo arcaico, inclusi il gesto e la danza. E inizio dal giro giro tondo... Vale per tutti i popoli antichi?
Siamo solo all’inizio di questo cammino, non ci sono bibliografia o punti di riferimento. È naturale che ad una prima analisi sia più facile cogliere le uguaglianze che la differenze. Non è facile neppure trovare condivisione tra gli studiosi. Da qualche tempo a prevalere nei giudizi sono i criteri scientifici empirici, ma noi sappiamo che il comportamento umano non segue criteri scientifici. Per l’uomo contano significati e conseguenze.
Il tutto indagando le incisioni rupestri camune? Da dove giunge tutta questa ricerca?
Mi sono laureato in Filosofia all’Università Cattolica di Milano, con una specializzazione in Storia del teatro. Per la tesi avevo chiesto al prof. Sisto Dalla Palma indicazioni su Beckett o su Ionesco. Lui rispose un po’ infastidito: ancora con Beckett e Ionesco, ma basta! E mi domandò di dov’ero. Io sono della Valcamonica e lui mi indirizzò verso una lettura teatrale delle incisioni rupestri. Mi si è aperto un universo affascinante e inesplorato. La laurea, il lavoro di ricerca... poi la sorte mi ha repentinamente spinto a farmi carico dell’attività di famiglia. Ho però continuato le ricerche. E ora, dopo più di trent’anni dedicati allo studio dei più antichi documenti figurativi, ecco il risultato.
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