Mattotti: «Questa storia mi ha inseguito per oltre 10 anni»
Misurarsi con la scrittura di Dino Buzzati, così potente e simbolica, si è spesso rivelata impresa ardua per il cinema. Per un Valerio Zurlini efficace alle prese con «Il deserto dei Tartari» (1976), e un Mario Brenta convincente con «Barnabo delle Montagne» (1994), ci sono gli esiti modesti di Gianni Vernuccio («Un amore», 1965), Ugo Tognazzi («Il fischio al naso», 1967), perfino Ermanno Olmi («Il segreto del bosco vecchio», 1993). Ciò che ad altri risultò ostico, riesce con naturalezza disarmante all’illustratore e fumettista bresciano (ma da vent’anni residente a Parigi) Lorenzo Mattotti, il quale debutta in regia con «La famosa invasione degli orsi in Sicilia» e si dimostra fuoriclasse pure sul grande schermo: il suo adattamento in abito cartoon dell’omonimo racconto illustrato di Dino Buzzati - che comparve tra gennaio e aprile del 1945 sul Corriere della Sera, mentre l’edizione completa in volume unico uscì qualche mese più tardi - è rispettoso e intriso di incantevole grazia. Passato a Cannes, il film è nelle sale italiane: a presentarlo al pubblico cittadino, stasera, venerdì, al Cinema Moretto di Brescia (in via Sant’Alessandro, alle 21, ingresso a 9 euro) sarà Mattotti in persona.
La vicenda muove da una cornice metanarrativa che ne esalta il valore di fiaba morale e ne facilita la contestualizzazione: in una grotta dove ha trovato riparo, un cantastorie illustra all’affamato plantigrado che la abita le peripezie di Leonzio, re degli Orsi. Questi, in cerca del figlioletto Tonio, rapito da piccino, conduce il suo popolo dalla montagna alla pianura, a contatto con gli umani, per scoprire con amarezza come le due specie siano poco adatte alla convivenza.
Colori pastello che favoriscono chiaroscuri di metaforica pregnanza, una luminosità che genera atmosfere oniriche, la tensione alla verticalità e alla profondità di campo: il film è visivamente affascinante, ha ritmo e si dispone a diversi piani di lettura, adatto ai bambini (per cui nasceva il testo buzzatiano) come agli adulti. Con il valore aggiunto, nella versione italiana, di voci inconfondibili prestate ai personaggi: su tutte, quella dello scrittore Andrea Camilleri, ma anche Toni Servillo, Antonio Albanese, Corrado Guzzanti.
Tra Mattotti e il cinema il legame non è del tutto nuovo: nel 2000 ha firmato il poster ufficiale del Festival di Cannes, nel 2019 la sigla di quello di Venezia; nel 2004 ha realizzato i segmenti che collegano i tre episodi (di Antonioni, Wong Kar-wai e Soderbergh) in cui si snoda «Eros»; nel 2007 ha collaborato al film antologico d’animazione «Peur(s) du noir»; nel 2012 ha disegnato fondali e personaggi per «Pinocchio» di Enzo D’Alò.
Esperienze propedeutiche al recente salto di qualità, avvenuto non per caso: «Questa storia mi ha inseguito per più di dieci anni - ha spiegato Mattotti - e per sei ci ho lavorato a intervalli regolari. Il vero problema era di misurarsi con i disegni di Buzzati medesimo, che accompagnarono la prima edizione in libreria: hanno una freschezza e una modernità che non potevo copiare, ma da cui non potevo prescindere. Infine ho scelto un tratto più netto, sottratto dettagli, lavorato su un’idea pittorica che mi appartiene di più».
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