La serata dello scrittore David Grossman al teatro Sociale
Un uomo di corporatura esile piomba sul palco da una porta laterale e gli applausi riempiono ogni spazio, ogni più piccolo angolo del teatro Sociale. E non lo abbandonano per lunghissimi minuti. Mani che si uniscono tra la folla di spettatori in piedi. L'omaggio di Brescia a David Grossman, uno dei narratori contemporanei più importanti e più amati, è al contempo omaggio all’artista, all’uomo e al padre. A quel padre che ha perso il giovanissimo figlio Uri nella guerra tra Israele e Libano il 12 agosto 2006 e che da quella tragedia ne ha tratto il libro «Caduto fuori dal tempo», pubblicato in Italia da Mondadori nel 2012 tradotto da Alessandra Shomroni.
A quel padre che ha scritto: «È morto ad agosto e, quando quel mese finisce, io immancabilmente penso: come posso passare a settembre mentre lui rimane in agosto?». Sul palco del Sociale, ieri sera, si è quasi toccato con mano cosa significhi sottrarre la memoria alla tenebra e riconsegnarla alla vita. L’affabilità dello scrittore israeliano, la capacità di costruire relazioni con le persone che incontra ed il suo desiderio immutato di conoscenza sono i doni che ha condiviso con la nostra città, attraverso un testo di rara intensità magistralmente «tradotto» sulla scena.
Mentre si gioisce della sua presenza, onorati della sua partecipazione ad una prima del nostro Teatro Sociale, non si può non tornare con la memoria alle parole che lui ha pronunciato per il rito funebre del soldato Uri. «…nella notte tra sabato e domenica, alle tre meno venti, hanno suonato alla porta…sono andato ad aprire ed ho pensato: ecco, la vita è finita». Un brivido percorre la schiena, le mani continuano ad applaudire tradendo qualche incertezza. Si torna alle emozioni dello spettacolo appena concluso e si pensa alla lingua comune del dolore, quella poesia del testo che tanto cattura e tanto fa riflettere. Senza tralasciare, tuttavia, che in ebraico esiste una parola - shakul - intraducibile, che indica un genitore che perde un figlio. Intraducibile, perché è un dolore tanto assoluto e innaturale da non avere nemmeno un nome. Nella lingua del dolore di un figlio «caduto fuori dal tempo» i drammi individuali si dissolvono nella marcia verso il confine che separa i vivi dai morti in cerca della necessaria riconciliazione pacificata. Per sottrarre la memoria alla tenebra per riconsegnarla alla vita.
Prima della «prima», cui ha assistito seduto tra il pubblico del Sociale, al quale si è concesso silenzioso per gli applausi finali, lo scrittore israeliano, nel pomeriggio di ieri, ha voluto salutare di nuovo gli attori. Ci racconta l’incontro la regista Elena Bucci: «Nel nostro dialogo, Grossman ha sottolineato il grande impegno di Brescia e del Ctb: progetti così intensi e coraggiosi - ha detto - nascono spesso in città più piccole rispetto alle grandi capitali della cultura, perché lì si mantiene intatto il coraggio e il senso etico del fare teatro». L’attrice e regista prosegue: «Grossman ha avuto per il nostro lavoro parole stupende, che porterò per sempre nel cuore: c'è stata da subito un’empatia, una consonanza fortissima. Anni fa gli mandai le prime pagine del mio progetto, per capire se era possibile realizzarlo, e subito ebbi la sua adesione. Poi gli mandammo un video con una prova aperta, e l’adesione fu ancora più forte. Anche la sua presenza al Sociale (dopo il debutto milanese al teatro Parenti) è il segno di un forte appoggio che lo scrittore vuole dare a questo spettacolo, nato qui a Brescia, durante il lockdown, quando i teatri erano chiusi e noi artisti abbiamo avuto la possibilità di vivere momenti di studio e di grande raccoglimento».
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