Jonathan Coe porta a Brescia un po' della sua cultura british
Caldo fuori e caldo dentro. Ma non solo per il clima: l’atmosfera era caldissima per l’attesa dello scrittore. Uno di quelli con la S maiuscola. Almeno per chi ama la cultura british e la letteratura pop.
Jonathan Coe era a Brescia e la Nuova Libreria Rinascita era pienissima. Fan della prima ora, lettrici e lettori che sventolavano «La banda dei brocchi» per farsi aria, ventagli e ventilatori portatili, sedie già riempite alle tre meno un quarto: questa la situazione dietro le Poste.
Quando è arrivato — Levi’s e classica camicia blu sulla zazzera canuta che ormai lo rende riconoscibile — l’hanno accolto un applauso e una calorosissima presentazione da parte dell’organizzazione di Jazz on the Road, che lo ospita anche al Foro Romano in quanto ottimo compositore, oltre che «uno dei più grandi romanzieri viventi».
L’occasione non era solo presentare l’ultima fatica, «Bournville», ma ripercorrere la sua storia letteraria fatta di tanti romanzi che hanno segnato la vita e le letture di tantissime persone. Romanzi spesso corali, tutti inglesissimi («too british», per il suo primo editore), nei quali storie personali e storia britannica si intrecciano a formare grandi arazzi sociali. A presentarlo Cristiana Kiki Negroni, bibliotecaria del Comune di Brescia.
Seconda vita da musicista
«Grazie di essere venuti in questo pomeriggio leggermente caldo. A Londra il clima è decisamente diverso!», ha esordito Coe (classe 1961). È qui per il concerto, ha spiegato, definendo questa «la sua seconda vita da musicista». «Per molto tempo è rimasta segreta, ora non più. Parliamo però anche di Bournville, in cui uno dei personaggi, Mary, si basa per buona parte su mia madre Janet, morta nel 2020, da sola senza la sua famiglia a causa della pandemia». Stava scrivendo «Io e Mr Wilder» mentre lavorava alle prime stesure di questo, e il progetto voleva essere qualcosa come Middle England. «Ma senza il focus sulla Brexit. Piuttosto, ricercavo tutti gli eventi che ad essa hanno portato». L’ha fatto partendo dalla seconda guerra mondiale per arrivare a oggi. E come sempre, il risultato è «so british».
Nel pomeriggio si è quindi scandagliata la sua autentica e sincera britishness («spesso si crede di doversi slegare dalla propria cultura per raggiungere il pubblico internazionale, ma mi sono accorto che ciò che scrivo è proprio un antidoto a quell’idea: c’è tutto ciò che di inglese si può scrivere, nei miei libri»); della critica sociale e della lotta di classe che aleggia sempre nei suoi libri («il mio sentimento è sempre lo stesso. Addirittura, oggi sono più arrabbiato rispetto agli anni ’90, quando scrissi La famiglia Winshaw»); del cioccolato protagonista dell’ultimo romanzo («la cosa più importante per la mia famiglia: mio nonno lavorava davvero alla fabbrica della Cadbury»)…
Anche il firmacopie non ha deluso: sempre caldissimo, ma i veri fan non si sono lasciati intimidire.
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