Cultura

Il regista Luc Besson venerdì sarà alla Oz per il suo «Dogman»

Il film comincia con la frase «Ovunque ci sia un infelice, Dio invia un cane». Il cineasta di culto sarà al cinema di via Sorbanella
Una scena del film «Dogman»
Una scena del film «Dogman»
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Un cineasta di culto alla Oz. Luc Besson vi approda per presentare il suo «Dogman», nelle sale italiane già da qualche giorno: un’altra bella iniziativa promozionale del gruppo Quilleri (che nella struttura di via Sorbanella, nei giorni scorsi, ha ospitato Claudio Bisio e i Me contro Te), con il regista francese atteso a Brescia venerdì 27 ottobre per introdurre la proiezione delle 21.40 del film che è stato in concorso all’ultima Mostra di Venezia (il biglietto costa 10 euro, info e prenotazioni su www.ilregnodelcinema.com).

Il film

«Dogman» comincia con una frase in exergo del poeta Lamartine («Ovunque ci sia un infelice, Dio invia un cane»), preludio a una storia effettivamente piena di cani e infelicità, ma pure nobilitata dal potere taumaturgico dell’amore. Besson ambienta negli States la vicenda di uno di quegli (anti)eroi che ama da sempre: Douglas (un portentoso Caleb Landry Jones già visto in «Tre manifesti a Ebbing: Missouri» e qui finalmente protagonista), ragazzo segnato nel corpo e nell’anima da un’esperienza terribile, dalla quale si rialza grazie all’amore (ricambiato) per un manipolo di randagi maltrattati.

«Credo che la violenza sia solo una conseguenza. Se hai fame e puoi mangiare non scatta - ha spiegato il regista nei giorni scorsi durante un incontro (da remoto) a Roma -. Penso che la violenza derivi dalla miseria e sia appunto una conseguenza orribile di quest’ultima». E ancora: «Nel caso di Dogman è stato facile raccontarla perché viene da una storia vera. Normalmente un papà e una mamma dovrebbero amare i loro figli, ma se c’è qualcosa che non va la gente impazzisce e fa cose folli. È normale. Ora Douglas è solo un ragazzo sensibile che non ha fatto nulla di male e che, pur avendo sopportato tutto il dolore del mondo, sta ancora cercando di essere bravo, questo il messaggio. Ma la gente fa fatica ad accettare la sua diversità».

Tra i cani

Con la musica di Éric Serra a dettare il ritmo, la trama avanza per scoperte progressive, a partire dal confronto tra psichiatra e paziente in un posto di polizia, dopo una serie di inspiegabili violenze. Giocando con diversi registri, il regista riesce a nascondere fino all’ultimo sviluppi che solo a posteriori esplicitano la propria prevedibilità. Dopo alcuni film trascurabili, «Dogman» si rivela una boccata d’aria fresca: non l’opera che ridarà slancio, probabilmente, alla sua fama d’autore, ma comunque un dramma spettacolare e denso di significati.

Che deve molto alle «spalle canine» di Landry Jones, per le quali Besson ha speso parole affettuose e divertite: «Per selezionare i cani il processo è stato lungo, perché alcuni non andavano proprio d’accordo, ma dopo due mesi abbiamo ottenuto un gruppo unito. Alle riprese hanno partecipato un centinaio di esemplari, con i quali avevamo una nostra routine: ogni mattina Caleb e io li portavamo al parco, ci sdraiavano per terra e dopo dieci minuti ci ritrovavamo ricoperti di fango».

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