Il Premio Strega e sei libri consigliati dalla redazione per giugno
Domenica il Premio Strega, il più importante premio letterario in Italia, è passato da Salò. I finalisti, la cosiddetta cinquina, ha incontrato il pubblico di appassionati nella sala Provveditori del Municipio per la terza tappa dello Strega Tour in attesa della proclamazione del vincitore il 6 luglio, che come ogni anno verrà fatta a Villa Giulia a Roma.
Rosella Postorino (Mi limitavo ad amare te), Ada D'Adamo (Come d'aria), Maria Grazia Calandrone (Dove non mi hai portata), Andrea Canobbio (La traversata notturna) e Romana Petri (Rubare la notte) sono i cinque finalisti di quest’anno.
Qualche mese fa un giornalista aveva recensito molto entusiasticamente uno dei libri della dozzina - «Ferrovie del Messico» di Gian Marco Griffi, la trovate qui -, la long list selezionata come prima scrematura dagli Amici della domenica, la giuria del premio, che è poi stato escluso dalla cinquina. Tra i libri consigliati di giugno ne trovate un altro escluso ma che alla collega che ne ha scritto è piaciuto molto, sorprendendola un po’.
C’è sempre attesa per il vincitore dello Strega perché è un’occasione importante per consacrare un autore o un’autrice anche tra il grande pubblico. Le altre recensioni che trovate per giugno non c’entrano con il premio, ma ci sentiamo di consigliarvi questi romanzi lo stesso, specie con l'estate che inizia e che forse per qualcuno significa più tempo per leggere in vacanza.
Per scriverci basta cliccare sul nome del redattore o della redattrice in calce alla recensione. Ci risentiamo a luglio, ciao!
«Le perfezioni»
di Vincenzo Latronico
(Bompiani, 2023, pp. 140, 16 euro, e book 9,99 euro)
Succede a molti: la vita che si è scelta non è più quella che si vuole, e poco importa se agli altri pare ideale. Succede ad Anna e Tom, i protagonisti del romanzo «Le perfezioni» di Vincenzo Latronico (arrivato tra i dodici finalisti del Premio Strega) che li coglie in un tempo «Presente» (uno dei quattro in cui è scandito il racconto) a Berlino, dove si sono trasferiti dall’Italia e dove lavorano come creativi in un appartamento pieno di piante e cibi speciali. Il loro lavoro è il risultato di passioni nate e cresciute insieme a quella Rete in cui si muovono perfettamente a loro agio. Hanno qualche problema di soldi, ma rispetto ai loro coetanei rimasti in patria anche una vita decisamente meno prevedibile e più cool: Berlino offre incontri internazionali e arte e la possibilità di una felice narrazione di sé. I due si amano però non sempre si bastano, eppure non arrivano a tradirsi. Nemmeno la vita che hanno scelto, una vita doppia tra realtà e immagini, sembra d’un tratto bastargli più mentre la città cambia sotto i loro occhi e il futuro appare incerto.
Provano con l’impegno: passa presto; tutto torna come prima, ma Anna e Tom sono sempre più inquieti. Prendono una nuova, grossa commessa che poi si ridimensiona, tra arrivi e partenze le relazioni sociali si assottigliano, finisce che si sentono in trappola. Nel tempo «Remoto» si mettono in viaggio, ancora una volta senza soddisfazione: Lisbona li annoia e la Sicilia li delude. Finché si troveranno addosso il progetto di cui avevano bisogno, quello destinato a cambiargli davvero la vita, e…
Ritratto di una generazione (o un’umanità?) un po’ spersa, analisi senza giudizi sul dominio dell’apparenza online, evocazione del bisogno di appartenere a qualcosa: «Le perfezioni», espressamente ispirato a «Le Cose» di Georges Perec, fa tutto questo attraverso una prosa nitida che utilizza sapienti accumuli descrittivi ed esclude del tutto i dialoghi e, nell’ultimo capitolo, racconta il finale al tempo futuro.
(Francesca Sandrini, vicecaposervizio redazione Cronaca)
«L’inventario delle nuvole»
di Franco Faggiani
(Fazi Editore, 2023, 292 pp., 18,50 euro)
Un libro da non perdere, una lettura essenziale. Non solo un racconto di montagna, ma un romanzo di formazione che ci appartiene intimamente. È «L’inventario delle nuvole» di Franco Faggiani, che si qualifica per la qualità della sua scrittura a partire dall’incipit (sul sito di Fazi è possibile collegarsi e leggerlo). Giacomo, un giovane della Val di Maira, orfano di padre, istruito da un bravo prete e avviato al lavoro da un nonno-patriarca, impara il mestiere di «cavié», ovvero va in giro per le montagne, per le baite isolate, e compra i capelli lunghi delle donne più povere, per farne poi commercio - dopo una lavorazione che avviene in casa sua durante l’inverno - in Francia, dove ci sono le fabbriche di parrucche.
Le vicissitudini di Giacomo tra affari, scoperte, viaggi, amori, sono il filo che umanissimamente lega il racconto di una gente e di un’epoca in trasformazione. La storia inizia poco prima dello scoppio della Prima guerra mondiale, nel paese di fondovalle di Giacomo, Prazzo, nel quale c’erano ancora anziani che «di Saluzzo e Cuneo avevano solo sentito parlare qualche volta e il loro mondo era tutto compresso tra il prato e l’orto, tra la legnaia e il torrente vicino».
Il sensibile Giacomo imparerà presto a svincolarsi dalla figura carismatica ma opprimente del nonno, e si troverà a capo di un piccolo impero di affari. Nella maniera più romantica, troverà anche l’amore. Magnifico il finale, sospeso in un’intensa, fiduciosa ed operosa attesa, che non è tempo sprecato, ma sentimento religioso della vita. «L’inventario delle nuvole» è un piccolo - e neanche tanto piccolo - capolavoro.
(«L’inventario delle nuvole» ha vinto il Premio della Montagna Cortina d'Ampezzo. Il risconoscimento sarà consegnato all'autore il 26 agosto).
(Paola Carmignani, redazione Cultura e Spettacoli)
«Quando si ama si deve partire»
di Delia Vaccarello
(Mondadori, 2008, pp. 280, 9,50 euro)
Quando si ama si deve partire. O meglio, per dirla con le parole della protagonista, Angela, «So di amare. Non mi resta che partire». Come dire che nonostante le ferite inferte da un rapporto sofferto - o forse proprio grazie a quelle - ci si può scoprire forti, arricchite, consapevoli. Al punto da trasformare la devastazione emotiva in spinta propulsiva. Opponendo la rinascita all’annichilimento e privilegiando, alfine, l’amore per se stesse a quello per l’altra persona, chiunque essa sia. Un insegnamento universale che passa attraverso il racconto di una relazione particolare, quella fra Angela e Tamara, docente universitaria l’una e operatrice di un Centro d’ascolto per adolescenti l’altra, che scoprono una reciproca dirompente intesa all’indomani dagli sconquassi emotivi provocati dall’11 settembre.
Il racconto dell’amore fra le due donne tratteggia con linguaggio scabro e poetico una doppia vicenda profondamente personale, ma pennella il ritratto dell’Italia di ieri e di oggi.
Sono passati quasi quattro anni dalla prematura morte - aveva 59 anni - di Delia Vaccarello, giornalista siciliana, instancabile attivista per i diritti della comunità Lgbtqi e prolifica scrittrice di saggi e romanzi, fra cui appunto «Quando si ama si deve partire» pubblicato per la prima volta nel 2008. Troppo spesso relegata a un genere considerato «di nicchia», vale la pena ricordarla attraverso la rilettura di uno dei suoi romanzi più intensi e carnali, in cui racconta l’amore maturo fra due donne, soffocato da convenzioni e ricatti familiari. Un tema caro a Vaccarello, quello del contrasto alle discriminazioni, unito all’analisi dei labirinti psicologici che caratterizzano la scoperta delle proprie identità. Sul suo giornale, l’Unità, ruppe il silenzio e i pregiudizi sul mondo Lgbtqi con una rubrica, «Uno, due, tre... liberi tutti», che è entrata nella storia; e nella sua carriera Vaccarello è stata insignita per due volte del Journalist Award indetto dalla Commissione europea e collegato alla campagna For Diversity Against Discrimination.
Fra i molteplici insegnamenti che Delia Vaccarello ci ha lasciato attraverso le sue pagine, c’è quella resilienza connaturata a chi ha trascorso la vita battagliando per il riconoscimento di se e degli altri. Quella resilienza che ci sospinge verso un «domani tutto nuovo, fiammante» anche quando abbiamo il cuore spezzato.
(Ilaria Rossi, redazione Web)
«Più alto del mare»
di Francesca Melandri
(Rizzoli, 2012, riedito Bompiani 2022, pp. 224, 12 euro)
Scriveva Jean-Claude Izzo che di fronte al mare la felicità è un’idea semplice. Una delle frasi, ahinoi, più stereotipate del grande autore marsigliese, al punto da corredare magliette e tazze da colazione in riviera, pare contraddetta dalle pagine di «Più alto del mare», secondo romanzo di Francesca Melandri, sceneggiatrice oltre che scrittrice, pubblicato una decina di anni fa da Rizzoli e riedito lo scorso anno da Giunti/Bompiani.
Quando l’ipnotico tormentone di «Mare fuori» era molto più che di là da venire, l’universo carcerario e la presenza assolutizzante del mare erano già i cardini attorno ai quali ruotava questa storia. Con ben altra prospettiva. Quella di un padre e di una moglie le cui vite si intrecciano del tutto casualmente, sul finire degli Anni ‘70, all’Asinara, meraviglioso frammento di Sardegna condannato dalla storia ad essere colonia penale prima e carcere di massima sicurezza poi per oltre un secolo. Paolo, da poco vedovo, è in visita al figlio che ha scoperto terrorista e assassino, irriducibile anche nella detenzione. Luisa, invece, è sull'isola per il colloquio mensile con il marito che da violento è divenuto pluriomicida. Professore l’uno, contadina l’altra. Tra loro un mare che è qui confine, distanza da colmare, limite, ma che nel modo più imprevisto unisce e incrocia le storie dei protagonisti, specchiando i loro drammi e i loro dolori e annullando le differenze. Il maestrale che soffia impetuoso e li costringe ad attendere sull’isola di poter ripartire mette a nudo la loro umanità. E con essa quella della guardia carceraria alla quale sono affidati, in crisi con sé e con la moglie alla quale non riesce a dire la violenza e la brutalità di cui è testimone e, suo malgrado, artefice nella quotidianità lavorativa.
Scritto con un linguaggio lirico eppure essenziale, di grande pulizia stilistica, il romanzo mescola lo strazio di chi si ritrova a misurarsi con la contraddizione dell’amare chi ha praticato il male e la forza catartica di una natura selvaggia e formidabile che, leopardianamente incurante degli uomini, finisce col lavarne le ferite e svelarne l’essenza più profonda.
(Gianluca Gallinari, vicecaporedattore e caposervizio redazione Web)
«Elp»
di Antonio Manzini
(Sellerio, 2023, pp. 544, euro 17, ebook 10,99 euro)
Dieci anni di Rocco Schiavone. Sempre più spiegazzato (lui direbbe ciancicato, ma il significato non cambia), amareggiato. E solo.
Antonio Manzini gli costruisce attorno la sua storia più articolata, regalandosi per questo anniversario il romanzo più lungo tra quelli dedicati al vicequestore «romano de Roma» trapiantato ad Aosta. Con «Elp» Manzini convince a metà. O meglio, solo a metà… del libro. Che nelle prime pagine fatica un po’ a decollare. Nonostante i riferimenti alla realtà e alle vibranti proteste ambientaliste che in Italia e nel mondo hanno visto molti giovani scendere in piazza. Ecco dunque il misterioso Esercito di Liberazione del Pianeta (Elp, appunto) in azione con attentati dimostrativi per attirare l’attenzione sullo scempio perpetrato ai danni della Terra. Schiavone simpatizza per questi ragazzi, e quando ci scappa il morto dubita che possano essere questi ambientalisti militanti i veri responsabili. Ed è a questo punto che il romanzo spicca il volo, superando grazie alla caccia all’assassino di un industriale qualche cliché di troppo (del resto, il personaggio è ormai un amico di famiglia, con vizi e virtù stratificate) e utilizzando anche qualche divagazione, come i fidati Brizio e Furio che «aiutano» l’ispettore Scipioni.
Piace ma non entusiasma fino in fondo questa versione un po’ scolorita di Schiavone, che resta però una sicurezza. Menzione d’onore, però, per i racconti riservati alle pene d’amore (in puro Abruzzo style) dell’agente D’Intino. Semplicemente irresistibili.
(Rosario Rampulla, caposervizio redazione Cronaca)
«Poesie»
di Patrizia Cavalli
(Einaudi, 1992, pp.254, euro 15,50)
Recensirla sarebbe un atto arrogante e disonesto perché di lei conosco troppo poco. Poco per parlarne con un senso, quanto basta però per aver suscitato ammirazione e spingermi a consigliare di leggerla chiunque se la sentisse. Perché un dono raro che trapela subito dalle prime pagine di «Le mie poesie non cambieranno il mondo» è che Patrizia Cavalli è una poeta – sì, poeta, come voleva essere chiamata – capace di raggiungere tutti.
Senza sfarzo o ermetismo, Cavalli scrive nuove architetture linguistiche che raccontano la vita, l’attesa, le relazioni, le cicatrici, l’assenza, i gatti, le rondini, l’estate. Genera parole, Cavalli, in grado di sedurre chiunque. Spazza via la tristezza o inchioda il nocciolo del problema in due frasi piene di ironia, riporta a molte essenze dell’autoanalisi e trafigge, con amore o ferocia, i legami. Sono poesie brevi, che spesso tratteggiano solo una situazione, un dialogo, un pensiero (è pur sempre poesia), ma che ridotte all’essenziale incantano per una lingua viva che ricorda Anna Maria Ortese ed Elsa Morante, che per Cavalli fu fondamentale.
È morta il 21 giugno del 2022, aveva 75 anni. Le sue opere sono pubblicate da Einaudi, ma se volete scoprirla con brevi, luminose istantanee, cercatela sul profilo Instagram della scrittrice Chiara Valerio, a lei molto legata.
(Laura Fasani, redazione Web)
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