I libri consigliati dalla redazione del GdB per luglio
Alla fine il Premio Strega 2023 l'ha vinto «Come D’aria», il libro d'esordio di Ada D'Adamo, scrittrice e danzatrice morta a 55 anni lo scorso primo aprile, due giorni dopo essere entrata nella dozzina del più ambito riconoscimento letterario italiano.
Il Premio Strega ha poi fatto tappa in terra bresciana, alla Casa del Podestà di Lonato. Nella scorsa rubrica dei libri consigliati del mese vi avevamo consigliato un romanzo in realtà escluso dalla finale del Premio Strega ma che aveva colpito molto una collega. Oggi, però, andiamo oltre: tra i libri consigliati di luglio trovate un racconto molto poetico del terremoto del Friuli nel 1976, una storia d'amore ambientata in un mondo yiddish tra Polonia e Ungheria, un libro sul femminismo e una favola che ha protagonista un bambino e ha la leggerezza di un origami.
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«Rombo»
di Esther Kinski
(Iperborea, 2023, pp. 288, 18 euro, e-book 9,99 euro)
È possibile restare incantati da un libro che racconta una catastrofe? Risposta affermativa dopo la lettura di «Rombo» della tedesca Esther Kinski che si è avventurata con un risultato letterario sorprendente nell’inconsueta narrazione di un terremoto. Kinski racconta il violento sisma che nel 1976 colpì il Friuli attraverso la voce di sette personaggi, abitanti di una valle all’estremo nord est della regione, le cui vite sono state spezzate per sempre in un prima e un dopo.
Ma Kinski, che trascorre lunghi periodi proprio in un villaggio del Friuli che le ha ispirato questo libro, racconta anche, in spettacolare bilico tra scienza e poesia, un paesaggio di monti e avvallamenti, fiume e torrenti, piante e fiori, serpenti e uccelli. Racconta la pietra calcarea del Carso, mutevole e affascinante. Racconta un paesaggio che racconta storie («E così le storie sono tutte lì davanti a me, scritte nel paesaggio», fa dire a Lina).
Ancora: «Rombo» è una piccola raccolta di citazioni di geognosia e di leggende legate ai disastri terrestri. Come quella della Riba Faronika, una sirena con la coda di pesce divisa in due parti: quando ne scuote una, in quella parte del mondo c’è un terremoto.
E, per finire (ma forse no), il libro di Kinski è un’appassionata riflessione sul valore del ricordo: «Che cos’è ricordare, che cos’è dimenticare? Un modo per tenere le cose in ordine. Nel dolore e nella vita in generale. Ci scoppierebbe la testa se non potessimo dimenticare. E anche il cuore». Questo dichiara Mara. Ma nel finale, la scrittrice ci dice anche (ed è l’ultima parola del libro) che il ricordo è «un dovere».
(Francesca Sandrini, vicecaposervizio redazione Cronaca)
«Un bene al mondo»
di Andrea Bajani
(Feltrinelli, 2022, pp.160, euro 15,20)
Un bambino e il suo dolore, che lo segue dappertutto, gli lecca le mani, gli si accuccia ai piedi quando va a scuola.
Cattura subito il lettore la metafora del dolore-cane, in «Un bene al mondo», il bel libro di Andrea Bajani, versatile scrittore e poeta, tradotto in molte lingue e pluripremiato. Nella nuova edizione, uscita a sei anni dalla prima, Emanuele Trevi segnala questo come un libro destinato a durare: si tratta della «costruzione narrativa di un mondo parallelo, non troppo dissimile dal nostro», con il dono della brevità, che - scrive Trevi nella nota introduttiva - «consente al prosatore quel grado di cura formale che di solito associamo alla poesia».
Quella di Bajani è una favola di paura, che ha la leggerezza di un origami, o di un cartone animato d’autore. Una distanza incolmabile separa il mondo dei bambini da quello degli adulti, in un piccolo paese senza nome, ai piedi di una montagna, circondato da boschi (aria pura per ristorare gli inquieti viventi) e tagliato da una ferrovia, unica via di scampo per giovani avvolti da un intorpidente incantesimo senza prospettive. Il destino del bambino cambia il giorno in cui incontra «la bambina sottile», sfortunata anche più di lui. In un percorso straniato di formazione, il piccolo protagonista riuscirà a diventare un uomo e a tagliare i dolorosi legami con una famiglia gravata da pesi di sofferenza e anaffettività. Abbandonerà le sue cimiteriali peregrinazioni borderline, prenderà il treno per la città, sceglierà di vivere.
Grande è l’abilità di Bajani nel reggere una narrazione metaforica per 150 pagine, in un acrobatico modo di raccontare che tocca le profondità dell’animo umano, mantenendo sempre il tratto della leggerezza. È anche, questo libro, una riflessione sulla scrittura: «Nelle lettere che poi non spediva alla bambina, il bambino usava poche parole e le riempiva di virgole. Perché le virgole erano come il battito delle ciglia sugli occhi: facevano riposare un istante le cose dall’essere sempre guardate. E quello era il modo che il bambino aveva di prendersi cura del mondo». Di queste preziosità è denso il testo. Un libro particolare, per chi ama le delicate cose di cui si parla.
(Paola Carmignani, redazione Cultura e Spettacoli)
«Max e Flora»
Isaac Bashevis Singer
(traduzione di Elisabetta Zevi, Adelphi, 2023, pp. 223, euro 19)
Quando, alla fine della lettura, ci si sente già orfani di quella costante inquietudine che lascia con il fiato sospeso per tutte le oltre duecento pagine del libro, c’è una consolazione. Ed è il pensiero che «Max e Flora» è uno dei tre inediti pubblicati da Adelphi del prolifico lavoro letterario di Isaac Bashevis Singer, dopo «Keyla la Rossa» e «Il ciarlatano», ma non l’ultimo. Chi ama Singer attende il prossimo, per «divorarlo» e riprovare, di nuovo, la sensazione del vuoto lasciata dall’assenza.
«Max e Flora» è ambientato nel mondo yiddish tra Polonia e Argentina a inizio ‘900 e ha come protagonisti proprio loro: Max, arricchito delinquente che aveva lasciato la Polonia solo con gli abiti che indossava e che ha fatto fortuna in Sudamerica gestendo molti traffici, tra cui un giro di giovani prostitute, grazie alla complicità della bella moglie Flora, ex attrice di modesto talento.
Teatro del racconto è la via Krochmalna di Varsavia, dove Singer trascorse la sua infanzia. L’impero russo è solo in apparenza ancora intatto, ma sono già in atto movimenti – che Singer racconta nel libro – che sfoceranno nella rivoluzione bolscevica. Krochmalna è il quartiere poverissimo in cui Max, di ritorno ormai ricchissimo da Buenos Aires per quello che inizialmente doveva essere un breve soggiorno, ritrova i vecchi amici e, con loro, le contraddizioni del popolo ebraico in quotidiana lotta tra un sistema di valori tradizionali e il processo di secolarizzazione e di assimilazione alla cultura dominante. Max ne è un esempio straordinario: forse malvagio, di certo senza scrupoli, su tutto divorato dalle contraddizioni. Vorrebbe essere una ricca persona perbene che scende nel migliore albergo della città con la bella moglie, ma non riesce a rimanere lontano dai traffici della malavita da cui è attratto come Ulisse dal canto delle sirene. Vorrebbe credere, ma non ci riesce. Ha paura di amare, ma anche di essere amato e per questo scappa, ritorna, si confonde.
Nel gioco di specchi Flora ha un ruolo altrettanto contraddittorio sia nel non comprendere a fondo l’inquietudine di Max sia nell’esserne ella stessa una delle cause principali. Un Max che fugge con la quindicenne Rashka. Desiderata per la sua giovinezza e la sua innocenza. Forse amata, agnello sacrificale della sua crudele infelicità. E, dunque, presto venuta a noia proprio per la sua giovinezza e la sua innocenza. Max è inquieto, si tormenta, si interroga: «Come ho fatto a cacciarmi in questa situazione?». Rivuole Flora, vuole Leah, diventa complice dell’anarchica Ida che gli parla di come liberarsi dei russi mescolando criminalità e utopia. Vuole Dio e per questo interroga il giornalista Kadishzohn i cui articoli in yiddish appaiono a Max scritti da una mente superiore. Anche lui, figura apparentemente minore del romanzo, non scherza in quanto a contraddizioni perché sostiene di credere in Dio ma non nella sua bontà.
«Max e Flora» appartiene alla piena maturità dello scrittore, insignito del Nobel per la letteratura nel 1978. L’edizione tradotta da Elisabetta Zevi per Adelphi si basa sulla versione inglese del testo, apparso nel 1972 su «Forverts», la rivista yiddish di New York.
(Anna Della Moretta, redazione Cronaca)
«La volontà di cambiare»
di bell hooks
(traduzione di Bruna Tortorella, Il Saggiatore, 2022, pp. 200, euro 19)
Nel 2019, nel pieno del fenomeno di denuncia di molestie da parte di tantissime donne che in America è stato chiamato MeToo, durante il Super Bowl l’azienda produttrice di lamette e rasoi Gillette ha mandato in un onda uno spot che ha fatto molto scalpore: riprendendo lo storico claim del marchio, «il meglio di uomo», la pubblicità mostrava episodi di machismo, sessismo e molestie che sono normalmente accettati nella nostra società, dai ragazzini che fanno a botte per sentirsi più forti all’uomo che fischia quando una donna gli cammina davanti.
Il video ha suscitato molte polemiche da parte di molti uomini che si sentivano attaccati e con loro un certo tipo di mentalità. La stessa che bell hooks, nel suo «La volontà di cambiare», chiama «mascolinità tossica» e «cultura patriarcale». Due costrutti sociali che rendono gli uomini vittime tanto quanto le donne, perché spinge i maschi a reprimere i propri sentimenti, tendere alla violenza e vivere il sesso come un’ossessione. La volontà di cambiare offre tantissimi spunti di riflessione per chi non si rispecchia nell’immagine del «vero uomo» che «non piange mai» o, peggio, «non deve chiedere mai». E ricorda che il femminismo non è l’arma delle donne contro gli uomini ma la leva di tutti contro le ingiustizie economiche e sociali, che spesso nascono da un’idea di genere che è prepotente e frustrante.
(Michele Maestroni, Teletutto e redazione Cronaca)
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