Patate di Gottolengo per festeggiare l'arrivo dell'autunno
Anche quest'anno la sagra contadina che le celebra è ormai agli archivi, con il consueto corollario di giochi, concorsi e assaggi. Ma le patate di Gottolengo, vanto riconosciuto del paese della Bassa (e prodotto ora difeso anche da una Denominazione comunale d'origine), restano d'attualità in cucina, insieme alle nuove produzioni d'ogni angolo d'Italia che proprio in queste settimane si presentano sulle bancarelle dei mercati.
Un'ottima occasione della quale approfittare proprio per garantirsi la qualità del prodotto locale,farne incetta e inserirlo nella dispensa di Stagioni in tavol@, sicuri che quanto non consumeremo subito potrà essere tranquillamente conservato in cantina, al buio e al fresco financo per alcuni mesi.
Il buio e l'assenza di umidità sono in particolare le condizioni necessarie per evitare che la patata germogli o diventi verde, riempiendosi di sostnze tossiche per il nostro organismo.
IL PARERE DELL'ESPERTO. Proprio l'alta conservabilità ha fatto la fortuna di questo tubero che è considerato pienamente di stagione proprio a settembre, ma con il passare del tempo e le giuste attenzioni non va incontro al degrado bensì muta il suo contenuto, riducendo l'acqua e aumentando gli amidi e rimanendo sempre commestibile (semmai cambiando la sua miglior destinazione in cucina).
E' inoltre un tubero assai ricco di valori nutrizionali per la salute del nostro corpo. Non è peraltro la prima volta che incontriamo le patate in questo nostro appuntamento settimanale, cosicché basterà ricordare brevemente quanto siano apprezzate la sue funzioni drenanti e disintossicanti, oltre al gran patrimonio di vitamine e di fibre.
Le patate sono inoltre ricche di potassio con immediato benefico effetto sul cuore e povere di sodio, notoriamente nemico della npostra salute, mentre è alto pure il contenuto di amidi, ovvero di zuccheri complessi e carboidrati che sono la principlae fonte di energia per la nostra vita.
Pur con tutte queste qualità per secoli le patate sono state destinate esclusivamente all'alimentazione animale, fors'anche perchè quanti avevano provato a mangiarle crude avevano avuto gravi problemi digestivi. Così, anche se in Europa sono arrivate dall'America meridionale nel XVI secolo (pare che il primo a notarle negli altopioani andini fu l'esploratore veneziano Antonio Pigafetta nella seconda metà del Cinquecento) la loro coltivazione per la tavola, anche in Italia è databile nella parte conclusiva dell'Ottocento.
La svolta che ha mutato l'alimentazione in buona parte del mondo, è paradossalmente fortuita ed è attrribuità alla genialità di Antoine-Augustin Parmantier, un agronomo e farmacista francese. Lo studioso venne imprigionato in Prussia durante la Guerra dei sette anni (1756-1763) e venne alimentato a lungo, come i suoi colleghi carcerati, con le patate. Fu in quella difficile temperie che imparò a cucinarle e, tornato libero, raccontò in un libro proprio le virtù nutrizionali dela patata.
In verità, già prima di Parmantier, almeno due studiosi italiani, Antonio Zanon e Vincenzo Virginio, raccomandarono nei loro scritti la diffusione della coltivazione di questo tubero che fino a quel momento nel nostro Paese era più che altro una rarità da orto botanico, ad esempio a Verona e Padova.
Se Parmantier forse non è stato il primo a parlar bene delle patate, sicuramente si deve a lui più d'un espediente per diffonderne la coltivazione. Si racconta infatti che dopo aver ottenuto dal re il permesso di coltivare patate sul suo campo, mise delle guardie durante la giornata attorno al podere facendo circolare la voce che stesse facendo crescere piante pregiate che piacevano ai sovrani.
Così, quando di notte le guardie si ritiravano, erano molti i contadini che si impossessavano furtivamente di qualche piantina per metterla a dimora nei loro campi. E in breve la coltura crebbe in tutta la rehione e poi nelle regioni limitrofe.
LA RICETTA. Arrivate sulla tavola italiana da ormai 200 anni, le patate hanno trovato un'infinità di abbinamenti con la ricca tradizione della cucina regionale italiana. Proprio da uno di questi golosi giacimenti prendiamo lo spunto per il piatto che suggeriamo oggi: una variante del classicissimo pasta e patate, succulenta e cremosa preparazione partenopea.
La chiave di questo piatto è l'abbinamento tra i carboidrati della pasta e del tubero, conditi da un grasso di maiale e insaporiti dal formaggio, una base cremosa già forte alla quel talvolta si sommano i gusti di altre verdure e persino dei molluschi come le cozze. Liberi pertanto di aggiungere quel che volete, mentre qui di seguito guarderemo innanzitutto alla base.
Per quattro persone vi serviranno almeno 300 grammi di pasta, poco più di mezzo di chilo di patate, un paio di belle fette tagliate alte di guanciale di maiale, un formaggio saporito come una provola affumicata, un paio di cucchiai di concentrato di pomodoro, un rametto di rosmarino, una crosta di parmigiano ben pulita e un trito di cipolla sedano e carota.
In una padella ampia mettete a soffriggere in poco olio il guanciale tagliato a dadini. Fate rosolare brevemente e aggiungete il trito di sedano carote e cipolla e lasciate cuocere a fuoco basso. Intanto sbucciate le patate e tagliatele a pezzi non troppo grossi prima di aggiungerle in padella. Lasciate insaporire e aggiungete il concentrato di pomodoro, il rametto di rosmarino e la crosta di parmigiano prima di bagnare abbondantemente il tutto con brodo vegetale o acqua calda.
Lasciate cuocere per almeno 30 minuti, aggiustate di sale e di pepe, quindi schiacciare con una forchetta una parte delle patate, inserite altro brodo o acqua calda. Ripreso il bollore, buttate la pasta e portatela a cottura.
Servite questa preparazione densa e fumante, togliendo il rametto di rosmarino, grattugiando la provola affumicata e condendo con un pizzico ancora di pepe e un ulterore giro d'olio evo crudo.
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