Pasquetta bresciana, perché si mangiano uova, salame e «ridicì»
Uova sode, salame e «ridicì». È il trittico tradizionale che non può mancare nei cestini da pic-nic dei bresciani a Pasquetta, che si tratti di una scampagnata tra amici o di una sostanziosa merenda in famiglia. Ma qual è l’origine di questa «colazione straordinaria», che si fa una volta all’anno nel giorno del Lunedì dell’Angelo, nonostante i bagordi del pranzo di Pasqua? La motivazione di tanta abbondanza calorica è da ricercare nel fatto che nel giorno di Pasquetta prosegue l’omaggio all’interruzione della Quaresima, periodo di rinunce e costrizione. La rottura del digiuno, dunque, secondo l’usanza popolare va festeggiata con entusiasmo. Meglio se in mezzo al verde, a contatto con la natura.
Perché
La scelta delle uova è fortemente simbolica. Così come quelle di cioccolato, rappresentano la vita che rinasce e dunque la Resurrezione. Di solito si preparano sode, più facili da trasportare e da condividere anche se seduti su una coperta in un campo. In alcune regioni italiane, ad esempio in Emilia Romagna, le uova vengono benedette durante le celebrazioni del Giovedì santo e poi cucinate in vista della Pasquetta. I più fantasiosi usano le uova anche per preparare torte salate e rustiche, ispirandosi alla tradizione campana del casatiello (ciambellone salato in cui le uova vengono messe intere, con formaggi e salumi) o della più diffusa torta Pasqualina.
Altro cibo tipico della gita del giorno dopo Pasqua è il salame, meglio se nostrano. Anche in questo caso, simboleggia la possibilità di tornare a consumare carne, dopo le rinunce quaresimali e il periodo «di magro». Anche in questo caso, la comodità di trasporto e conservazione agevolano il consumo durante le scampagnate.
Le erbe amare
Infine, non può mancare la verdura. Ed è qui forse che c’è una sfumatura tipicamente bresciana della tradizione. Si tratta dei «ridicì»: cicorione pan di zucchero tritato finemente, dal sapore lievemente amarognolo, che si sposa benissimo con uova e salame. La primavera è il periodo ideale per raccoglierli, anche se ormai si possono facilmente reperire tutto l’anno. Un’alternativa, fonte anche di qualche diatriba tra puristi, sono i «capulì»: radicchio rosso croccante, anch’esso tipicamente primaverile, si presta benissimo ad essere consumato crudo.
I raccoglitori più esperti, in ogni caso, sono già impegnati nella raccolta di altre erbe spontanee: valeriana («grasèi»), verza («virzulì»), ortiche e i famigerati loertis (asparagi selvatici). L'origine di questa tradizione, probabilmente, affonda le sue radici nei secoli e potrebbe avere a che fare con il fatto che durante la Pasqua ebraica, Pesach, si consumano le erbe amare, che rappresentano l'amarezza della schiavitù patita dagli ebrei sotto il dominio del Faraone.
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