Moscato d'Asti, quando il successo è un problema
Il grafico a barre è impressionante. Il Moscato d'Asti, che si produceva nel 2002 in poco più di 5 milioni di bottiglie, è aumentato del 25% l'anno in modo costante. Nel 2009 (l'anno nero del vino) viaggiava sui 16 milioni di bottiglie, nel 2010 sfiorava i 20 milioni, la vendemmia 2011 è balzata a 25 milioni di bottiglie. E non ce né di più, la richiesta è più alta, molto più alta. Il colosso americano Gallo sta facendo incetta in tutte le cantine del Piemonte comperando Moscato ancora da spumantizzare o pronto in autoclave. La voglia di saltare in corsa su un treno ad alta velocità c'è tutta e ad Asti, nelle stupende sale affrescate del Consorzio di Tutela, è in corso un braccio di ferro sul da farsi. Sul tavolo c'è la proposta degli industriali del Moscato di piantare subito e in fretta mille ettari a vite (più o meno la superficie vitata della Lugana), quella degli agricoltori lasciare tutto come è o andare prudentemente per gradi.
La cosa sta suscitando molto interesse nel mondo del vino che è alle prese semmai con la necessità di ridurre i vigneti per contenere una offerta sovrabbondante che farebbe crollare i prezzi. La Franciacorta, ad esempio, ha bloccato i nuovi impianti per tre anni. L'Europa, da parte sua, ha finanziato l'espianto di 270 mila ettari a vite. Piantare mille nuovi ettari a vite, sembra, di primo impatto, una follia, anche perché il vigneto comincia a produrre dopo tre anni e in questo tempo può succedere di tutto.
Il nuovo direttore del Consorzio dell'Asti Giorgio Bistocco ha incontrato la stampa sabato scorso per fare il punto su una vicenda di cui si parla molto.
Bistocco è uomo di marketing e ragiona da uomo di marketing. La sua previsione sulla litigiosa questione è che si finirà con il consentire l'impianto di 300 ettari, stando poi a vedere. Ma a noi interessa l'analisi della situazione che riguarda un po' tutti. Il dettaglio è questione squisitamente piemontese.
Va chiarito che stiamo parlando del Moscato d'Asti e non dell'Asti spumante.
I due vini, tutti prodotti con uve Moscato bianco nei 52 Comuni a sud di Asti (capoluogo escluso) sono piuttosto diversi. Li distinguete con facilità perché il Moscato è tappato a tappo raso, l'Asti ha il tappo funghetto degli spumanti.
Le differenze però ci sono anche in bottiglia. L'Asti spumante è più alcolico (circa 9 gradi) e meno dolce. In bottiglia ha la pressione di uno spumante metodo Charmat (5-7 atmosfere). L'ex fratello minore Moscato può avere anche solo 5 gradi di alcol, molto più zucchero e solo un paio di atmosfere di pressione (non fa il botto). I due vini hanno venduto nel 2005 107 milioni di bottiglie, che è un record comunque. Ma mentre lo spumante è cresciuto lentamente da 65 a 82 milioni di bottiglie in tre anni, il moscato in tre anni è passato da 8 a 25 milioni.
La crescita è stata alimentata da un aumento delle rese per ettaro fino a 115 quintali di uva, che però è il massimo tecnicamente accettabile.
Da nicchia preziosa, in prevalenza di origine contadina o da aziende piccole e di qualità, il Moscato si è avviato sui grandi numeri. Non possiamo affermare in generale che la qualità è scaduta. Dalle degustazioni possiamo desumere di sicuro che il Moscato ha perso in intensità e pienezza, guadagnando moltissimo in profumi (violetta, mughetto, glicine ).
Come decidere? La Moscatomania non è figlia della piacevolezza del vino (anche se lo spostamento del gusto internazione sul dolce ha la sua parte). Tutto è nato da una citazione del rapper Kayne West nel 2005. Il cantante ha addirittura citato la marca che (lo sanno tutti ) è Saracco. Il mondo della musica gli è corso dietro ed ora di Moscato si occupano Wine Spectator e Wall Stree Journal. Un fenomeno dirompente. Gli americani consumano Moscato a tutte le ore del giorno in quantità da birra.
L'altro dato su cui riflettere è che ad aumentare del 76% in un anno è stato il Moscato d'Asti, ma il mondo è globalizzato. I moscati italiani non Docg che si producono ovunque in Italia (la Lombardia ha l'Oltrepò) sono cresciuto del 100%, quelli Australiani del 600% e stanno correndo molto anche i moscati Californiani. Resta un fatto: che il nostro Moscato Docg è il più caro sul mercato (circa 15 dollari), mentre gli altri fanno la guerra dei prezzi. È un prezzo remunerativo? Quindici dollari sono poco più di 11 , il che vuol dire che il prezzo di partenza è di circa 3.
Le intenzioni del Consorzio sono allora quelle di andare a cercare spazi in India e Cina, apparentemente un controsenso visto che manca prodotto, ma di certo una buona mossa per tonificare immagine e prezzo.
Le principali perplessità di chi è contrario ai mille ettari nuovi (la parte agricola) sono legate ad una caduta dei prezzi. Brucia ancora il raddoppio della produzione di Barolo da 4 a 8 milioni di bottiglie che aveva portato a prezzi indecenti per il re dei vini.
Gianmichele Portieri
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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