Cucina

Lenticchie di Castelluccio, l'oro verde che nasce sui Sibillini

Sono tra le varietà più piccole e più gustose delle millanta d'ogni regione, una Igp decisiva per l'economia locale martoriata dal sisma
Una zuppa a base di lenticchie
Una zuppa a base di lenticchie
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Marzo è ormai agli sgoccioli e anche il meteorologo dice che si va chiudendo la coda fredda di quest'insolito secchissimo inverno. Le primizie primaverili sono dunque ormai in vista dei nostri mercati, e a prezzi, si spera, finalmente abbordabili. Nell'attesa ci resta ancora la voglia d'un legume secco per chiudere il piccolo viaggio in questo autentico patrimonio alimentare, così utile nel periodo meno clemente e generoso dell'anno.

Ecco perchè apriamo oggi la dispensa di Stagioni in tavol@ alle lenticchie, proprio un legume antichissimo, diffuso un po' in tutto lo Stivale, ma che è curiosamente da almeno mezzo secolo vittima d'un inspiegabiole ostracismo. Succede infatti con regolarità ogni anno che il consumo di lenticchie ha un boom esponenziale nel periodo natalizio e poi crolla, sino quasi a sparire per tutti gli altri mesi. 

Quasi che la tradizione beneaugurale di cotechino e lenticchie del cenone di San Silvestro sazi a tal punto la preferenza degli italiani per questo alimento da farglielo dimenticare per tutto il tresto dell'anno. Ed è invece un gran peccato perchè le lenticchie sono disponibili in gran varietà per tutt'inverno e meriterebbero attenzione sia sul versante nutrizionale sia su quello dell'aiuto alla nostra salute.

Proviamo a rompere l'incantesimo parlando oggi non di lenticchie in generale, ma delle lenticchie di Castelluccio, un prodotto tipicissimo legato nel nome alla frazione di Norcia e che si produce in piccola preziosa quantità nell'altopiano a cavallo tra Umbria e Marche, in quello scenario magico rappresentato dai monti Sibillini (davvero da mettere in calendario una gita a maggio quando proprio le lenticchie sono in fiore).

IL PARERE DELL'ESPERTO. Tra le moltissime varietà di questo legume conosciute in Italia, diverse nelle domensioni più o meno grandi, nelle forme più o meno rigonfie, nei colori dal verde più o meno intenso ai al giallo ed al marrone, la tipica lenticchia di Castelluccio di Norcia ha più d'un motivo per farsi notare e contribuire alla rinascita di un'area martoriata dal terremoto.

Innanzitutto ha raggiunto ormai da tempo la tutela europea della Indicazione geografica protetta (Igp), a conferma di peculiarità riconosciute, che ne fanno un prodotto di nicchia, dalla produzione limitata sia in quantità, sia in area geografica di coltivazione. E' inoltre tra le più piccole e d'un colore che tende spesso al verde anche striato tanto che in più occasioni si è già parlato di questo legume come di "oro verde dei Sibillini".

Di più: coltivata oltre i mille metri di quota, sull'altopiano dalle temperature rigide dal quale emerge la medioevale struttura di Castelluccio, non è attaccata da muffe e microrganuismi così deleteri in altri contesti, col risultato che non abbisogna di particolari attenzione per la conservazione. tradizionalmente col metodo dell'essiccatura.

Inoltre la pellicola esterna è molto sottile e non coriacea con il duplice risultato d'una masticabilità più gentile e della possibilità di procedere alla cottura anche senza preliminarmente lasciare in ammollo il legume essiccato (ma se avete tempo sappiate che la reidratazione è comunque consigliabile anche solo per ridurre i tempi di cottura).

La lenticchia di Castelluccio è anche apprezzabile sul piano nutrizionale e dietetico, perchè è uno scrigno straordinario di sali minerali, oltre a proteine vegetali, fibre e vitamine (B1). E' pertanto consigliata in ogni regime vegetariano e vegano, ma anche al di fuori di questi canoni alimentari si fa preferire proprio per l'alto contenuto di fosforo e ferro.

Conosciuta fin dall'antichità, la lenticchia è con ogni probabilità originaria dell'Asa MInore ed è già citata nella Bibbia, mentre sui Sibillini era certamente presente in epoca Romana. E, partricolare non secondario, è coltivata ancora oggi seguendo i sistemi tramandati da millenni.

LA RICETTA. Contorno quasi scontato per salumi cotti e carni a lunga cottura, la lenticchia di Castelluccio si fa preferire per il sapore particolarmente dolce e tipico ed è utilizzata in decine di preparazioni gastronomiche della tradizione regionale del cuore verde d'Italia. In particolare per zuppe e minestre.

Proprio a quella tradizione si rifà la nostra proposta di oggi per una zuppa di patate, carote e lenticchie di Castelluccio che può essere piatto cotrroborante in queste ultime fredde serate, quando il termometro si avvicina pericolasamente agli zero gradi.

Il consiglio, anche se molti non lo condividono, è di lasciare comunque in ammollo le lenticchie secche per una notte prima di utilizzarle, consentendo una lenta reidratazione che faciliterà, e parecchio, la cottura. Quindi gettate l'acqua e lavate un'ultima volta le lnticchie sotto un getto corrente freddo.

In una casseruola capiente inserire un filo d'olio, uno spicchio d'aglio e qualche strisciolina di lardo o di guanciale  e fate scaldare. Quando il grasso animale sarà divenuto quasi trasparente aggiungete le lenticchie liberate dell'acqua e fate saltare per due o tre minuti, bagnando prima con mezzo bicchiere di vino bianco secco e poi, una volta evaporato l'alcol, con mestoli di brodo vegetale sino a coprire tutte le lenticchie.

Lasciate cuocere per una mezzora prima di aggiungere le patate sbucciate e fatte a tocchetti e le carote anch'esse private della buccia e divise in pezzi. 

Lasciate cuocere un'altra ventina di minuti, regolando di sale e pepe (volendo pure impreziosendo i sapori con un rametto di rosmarino) prima di servire bollente con un generoso giro di olio extravergine d'oliva, preferibilmente umbro, magari da cultivar di gagliardo Moraiolo.

La zuppa è già perfetta così, ma potete sempre arricchirla fin dalla prima cottura con qualche pomodorino spezzato e ovviamente con l'apporto calorico di pasta o riso, facendone in questo caso una minestra ancor più completa e nutriente.        

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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