Guide dei vini: sono da premio 34 bresciani
Il tormentone tra i commentatori delle guide vini 2015 (lievitate allo smisurato numero di 12) è stato, fino a poche settimane fa, che i critici non riescono ad essere d’accordo. In effetti nessun vino è al top in tutte le guide principali.
Poi è arrivato Wine Spectator (che resta la Bibbia anche se lo sport mondiale è «gufare» contro quella guida) che ha decretato che il miglior vino italiano del 2015 è Castello di Ama, un Chianti della nuova tipologia Gran Selezione.
Ma il ragionamento è viziato da un presupposto: che siano da confrontare solo i vini che hanno raggiunto il massimo: tre bicchieri, cinque grappoli, quattro viti... È una trappola in cui, negli anni passati, siamo caduti anche noi facendoci sfuggire vini con gran meriti, ma con voti altissimi di seconda fascia. Qualche cantina ha sofferto non poco di questo errore di metodo. Se si tiene conto invece di un più ampio ventaglio di voti, si scopre che, alla fine, i critici sono abbastanza d’accordo tra loro.
Così abbiamo 20 vini bresciani compresi in un distacco di 20 punti dal vertice (per il 2013 i vini nella fascia dei 20 punti furono 13 e per il 2014 solo 9). Si scopre poi che se si tiene conto dei vini con 25 punti dal vertice il loro numero sale a 31, anzi 34 su 63 vini considerati. Nel caso dei 20 punti lo scarto è del 5%, con 25 punti di spread lo scarto sale al 6,25%. Poiché si tratta di giudizi dati con il naso e con un computer, qualsiasi statistico vi dirà che lo scarto è irrilevante. Come dire: un maxi ex aequo.
E così diciamo subito che il miglior vino bresciano, secondo le quattro guide leader, non ha preso i Tre bicchieri del Gambero Rosso. Clamoroso.
Dobbiamo poi spiegare perché i vini nella fascia top sono a nostro avviso 34. La guida «Vitae» edita dall’Ais non ha assaggiato i vini di Cavalleri. Se dovessimo aggiungere al punteggio i 95 punti che quel vino merita su Bibenda, avremmo un totale di 359,5 punti, cioè il quarto posto assoluto in coabitazione con Barone Pizzini.
La guida dell’Espresso non ha considerato i vini di Monterossa, che però, con il punteggio che la guida ha attribuito all’azienda di Bornato lo scorso anno si piazzerebbe nei top 20.
Al vertice ci dovrebbe essere anche Ca’ dei Frati, che però manda i campioni a sole due guide e quindi veleggia stabilmente (e volontariamente) agli ultimi posti.
Le guide prese in considerazione sono quattro: Gambero Rosso, Espresso, Guida oro Veronelli e Vitae. Vitae è la nuovissima guida dell’Ais nata dopo il divorzio da Bibenda. Edita a Milano l’abbiamo ritenuta più vicina ai vini di casa nostra (e infatti ha valorizzato la Lugana). Altre guide, come la seguitissima Slow Wine, usano criteri di giudizio non confrontabili con gli altri.
Il punteggio è stato ricavato nel seguente modo: i voti dell’Espresso sono in ventesimi, trasformati qui in centesimi secondo il metodo Ais, i tre bicchieri del Gambero Rosso valgono 95 punti che è la media tra i 90 e i 100 punti, i due bicchieri rossi, che indicano i finalisti, valgono 87 punti, due più dei due bicchieri neri che sono calcolati 85 punti. L’Ais ora usa un tralcio di vite. Quattro viti è il massimo, quindi 95 punti, tre viti è il simbolo che vale 87 punti, due viti scendono a 82. La guida oro del Seminario Veronelli assegna già un voto in centesimi.
Detto che hanno vinto in tanti, svetta però su tutti il Franciacorta Vintage Collection di Ca’ del Bosco che trionfa in tutte e tre le tipologie (Brut, Saten e Dosage Zero). La nuova etichetta, che ha scalzato l’Annamaria Clementi della stessa cantina, è un prodotto praticamente perfetto, che si giova anche dell’«idromassaggio» delle uve e di mille altre attenzioni. Poi è un prodotto più democratico (on line lo si compera alla metà del prezzo, sempre elevato, di Annamaria Clementi) anche se le bottiglie sono sempre poche.
Il resto della classifica è meno innovativo. L’Espresso infatti si è dimenticato del Brut Alma di Bellavista, Franciacorta da 900mila bottiglie, vera novità delle guide 2015.
Gli altri sono i vini di punta delle rispettive case come Il Palazzo Lana di Berlucchi, il Bagnadore di Barone Pizzini (ma ad un punto c’è il più moderno Brut Nature). Selva Capuzza porta un Lugana al 17° posto assoluto, insieme al Superiore di Ca’ Lojera. Le due aziende tengono alto il vessillo della zona in un anno di relativo appannamento di Provenza.
Gianmichele Portieri
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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