I magnifici 5 formaggi bresciani di nicchia da degustare a Natale
«La boca l’è mia straca se la set mia de vaca». Questo celebre proverbio lombardo, qui nella sua versione valsabbina, ci ricorda una tradizione intramontabile: il formaggio è il protagonista di ogni fine pasto, prima del dolce.
Nel medioevo si credeva che questo alimento potesse avere potere digestivo: da qui nasce il proverbio. Oggi studiosi, medici e dietologi, ci dicono come il formaggio vada consumato in modiche dosi, ma lo dicevano anche gli antichi: la Scuola Medica Salernitana affermava «caseus est sanus quem dat avara manus», ovvero, «fa bene quel formaggio servito da una mano avara», quindi si può ben dire che la credenza fosse che il formaggio fosse salutare se mangiato in piccole dosi.
Bene, seguendo questo precetto vogliamo consigliarvi cinque formaggi bresciani di nicchia che sono assolutamente imperdibili: un fine pasto perfetto, una piccola degustazione per le festività natalizie. Ovviamente, con moderazione.
I 5 imperdibili formaggi bresciani
Formaggella Valtrompia affinata in miniera, Fatulì, Tombea, Erborinato di capra della Valsabbia, Cadolet: sono questi i magnifici cinque selezionati per noi da Ugo Bonazza, maestro assaggiatore dell’Onaf – organizzazione nazionale assaggiatori formaggi – e responsabile della delegazione bresciana che, per intenditori o semplici appassionati, terrà un nuovo corso di assaggio a partire dal prossimo marzo.
Formaggella della Valtrompia affinata in miniera
Più volte abbiamo raccontato di come, con intelligenza e intraprendenza, alcune miniere della Valtrompia siano state negli anni riconvertite a luoghi per la stagionatura di formaggi: consolidata in questa sua seconda vita è la miniera di Graticelle a Bovegno, dove vengono fatte maturare anche le forme di Stagionato Valtrompia Dop – uno degli otto formaggi a denominazione di origine protetta della nostra provincia, uno degli unici due totalmente bresciani (insieme al Silter) – e quindi affinate anche alcune formaggelle. Ne nasce quindi un prodotto affinato in maniera del tutto naturale, con le forme che hanno una pezzatura di circa due chili, e che rimane nelle viscere della terra per almeno tre mesi. Peculiarità, la forma viene unta con olio di lino, pratica che solitamente viene riservata ai formaggi stagionati. Così il prodotto finale sarà perfettamente affinato: al gusto risulterà dolce ma più corposa rispetto alle altre formaggelle, e così prevarranno le note di latte fresco ed erbe di montagna.
Fatulì
Solitamente i formaggi caprini sono considerati cibo da buongustai, sarà perché la maggior parte di quelli in commercio è a pasta molle, connotati da forte acidità e da sentori ircini. Quando stagionati, i caprini acquistano qualità organolettiche impensabili ai più. Una perla rara nel panorama caseario bresciano, se parliamo di formaggi caprini, è il Fatulì.
Siamo in Val Saviore, lì dove la terra camuna si spinge fino alla vetta del monte Adamello, e dove per la produzione di questo formaggio si seguono ancora metodi di produzione tradizionali e, soprattutto, il latte di una razza autoctona, la bionda dell’Adamello.
Il Fatulì è quindi un formaggio molto raro, di piccola pezzatura, non va oltre i 500 grammi, e deve il suo nome ai piccoli piatti da minestra che venivano utilizzati al posto delle fascere per raccoglierne la cagliata. Prodotto con latte intero, lavorato solitamente una sola volta al giorno e da una sola mungitura, la sua stagionatura può andare da uno a sei mesi. Ma una delle caratteristiche predominanti del Fatulì è un’altra: l’affumicatura.
Tecnica che in passato serviva per conservare più a lungo il formaggio, ma che oggi per gli intenditori diventa gioco e regalo per poter scoprire diversi e più intensi sapori. Questi sono dati da un’affumicatura che tradizionalmente fatta bruciando rami e bacche di ginepro, che può essere più o meno intensa a seconda dell’esposizione al fumo. Questo darà, dal punto di vista visibile, anche una crosta di colore più o meno scuro. All’olfatto i profumi sono intensi, predomina l’affumicatura, al gusto si riconosce il burro cotto di capra, la frutta secca, l’ircino, ma anche note speziate e vanigliate. Il Fatulì e un prodotto riconosciuto Pat – Prodotto Agroalimentare Tradizionale – e dal 2007 riconosciuto come Presidio Slow food. La produzione annuale si aggira attorno ai 100 quintali.
Casolet o Cadolet
Rimaniamo in Val Camonica, entrando un po’ anche in Val Seriana, per presentarvi un altro formaggio Pat, il Casolet o Cadolet, formaggio semigrasso a pasta cruda e semidura, con stagionatura breve o media, prodotto con latte vaccino e crudo. Inconfondibile la particolare forma triangolare, così congeniata nell’antichità per facilitare il trasporto: questa la credenza più diffusa, anche se, con molta probabilità, era una modalità di raccogliere alla bell’e meglio la poca cagliata risultante dalla lavorazione del latte risultante dalla mungitura di pochi capi da parte dei poveri allevatori camuni, e poi formata sul tavolo ordinandola con una semplice asse di legno.
La produzione abbraccia in verità tutto il territorio dell’Adamello, sconfinando quindi anche in Trentino dove il formaggio che trova corrispondenza nel processo produttivo è presidio Slow Food. Le forme hanno una pezzatura di circa 2,5 chili, la stagionatura varia da un cinque mesi. Al palato è dolce, il gusto è delicato di latte cotto e burro. Per vivere appieno l’esperienza dell’assaggio del Casolet, il maestro Bonazza consiglia quello dell’azienda agricola Fontana di Artogne, guidata dal giovane Matteo, con 60 capi tra Brune e Frisone.
Tombea
Dopo Val Camonica e Val Trompia ci spostiamo a Magasa e Valvestino, quella terra tra Valsabbia e Lago di Garda, una volta terra di frontiera tra l’Italia e il Regno austroungarico, lì dove ogni anno viene ancora celebrato il genetliaco dell’imperatore Francesco Giuseppe. Su quei bucolici alpeggi che risentono del sole del Benaco e dell’aria buona che scende dal Trentino, nasce il Tombea, formaggio di alto pregio e di limitata diffusione – anche questo riconosciuto Pat -, che ha addirittura rischiato di scomparire. Rimangono pochi i produttori che pascolano in alpeggio i greggi per un periodo limitato, che dura circa 90 giorni, nei mesi tra luglio e settembre.
Prodotto con latte vaccino parzialmente scremato e crudo, le forme pesano tra gli otto e i dodici chili, la crosta è trattata, come i grandi formaggio stagionati bresciani, con olio di lino. Solitamente lo si trova in commercio con stagionatura di almeno 12 mesi, non di rado viene portato a 24, ma ci sono delle forme che vengono portate a dieci anni, rappresentando delle vere esperienze gustative e olfattive extrasensoriali, quasi mistiche. Il Tombea al gusto è sapido e leggermente piccante, intenso il profumo, tipico di lattico cotto, non mancano le erbe e le essenze di montagna, e la frutta secca.
Erborinato di capra
L’ultima proposta di nicchia chiama in causa ancora le papille gustative del buongustaio, l’estro per i sapori più spinti e la ricerca dell’inusitato: chiudiamo con degli erborinati di capra. Gli erborinati – per chi scrive, estasi assoluta al palato della maestria e dell’arte casearia – sono formaggi figli della lavorazione casearia dalla quale prendono il nome l’erborinatura, che consiste nell’apporto di muffe nobili – Penicillium glaucum per la produzione di Gorgonzola o Penicillium roqueforti per la produzione di Roquefort – oggi rigidamente controllato, una volta dovuto invece alle spore naturalmente sparse negli ambienti di lavorazione. Queste muffe danno vita alle caratteristiche chiazze o striature di colore verde, blu o grigio. Nota bene: proprio per l’azione delle nobili muffe, tutti i formaggi erborinati sono naturalmente privi di lattosio.
Nel nostro viaggio, è il formaggio di capra ad essere erborinato. Due quelli che vi segnaliamo: Il formaggio Blu di capra dell’azienda agricola Malga Pof di Pertica Bassa, che è noto come «Roquefort delle valli bresciane», che presenta un equilibrio armonico tra il sapore caprino e la nota della tipica erborinatura, e il Blu di capra dell’azienda Consoli di Rovato, a pasta cruda, consistenza compatta e cremosa, gusto delicato e pieno del latte caprino che si combina con quello delle muffe.
Note a margine
Il viaggio tra i cinque formaggi bresciani di nicchia imperdibili per le prossime feste finisce qui, con due note a margine. La prima, è la scelta di non aver indicato abbinamenti né con vini né con miele o marmellate, per darvi la possibilità di gustarli in totale e semplice purezza. La seconda, l’ordine di degustazione: il maestro Ugo Bonazza consiglia di iniziare con il Casolet, a seguire Formaggella di miniera, Tombea, Erborinato di Capra e Fatulì.
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