Brunch, dall’America alla domenica italiana
Informale, libera, varia: sta in questi tre aggettivi una delle poche tendenze di successo in questa stagione non certo brillante per la ristorazione italiana.
Con qualche limitatissima eccezione, paiono infatti soffrire maggiormente le tavole che, pur offrendo una proposta gastronomica di alta qualità, mantengono alcune regole d’etichetta fino a ieri considerate inderogabili, hanno orari poco flessibili e presentano una carta delle vivande chiaramente indirizzata su una sola linea di cucina. Di contro, chi oggi si siede alla tavola d’un locale è spesso infastidito da un servizio troppo formale, talvolta arriva al di fuori degli orari canonici e chiede di mangiare un solo piatto oppure di piluccare decine di preparazioni diverse.
A queste esigenze risponde perfettamente, ad esempio, il «brunch», in particolare per il pranzo domenicale, che, non a caso, vede da qualche anno moltiplicarsi anche in città e nel Bresciano le opportunità, tutte con confortante adesione.
Un successo figlio sempre di una proposta aperta alla più ampia informalità, di un servizio garantito in una fascia oraria allargata, di una grandissima varietà di piatti dovuta alla filosofia stessa di questa soluzione d’origine anglosassone.
Come si evince facilmente dall’etimo della parola - che nelle più diffuse ricostruzioni è frutto della contrazione fra i termini breakfast (colazione) e lunch (pranzo) - il brunch è nato in America tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Dapprima solo nei grandi alberghi, questa proposta cercava di mettere a tavola domenica a mezzogiorno, tanto chi si era alzato da poco (sono gli anni dell’imperante travoltiana febbre del sabato sera) con chi invece chiedeva un pranzo veloce, leggero e vario in una giornata dedicata al relax o al turismo. Il menù era dunque, almeno allora, basato principalmente su uova variamente strapazzate, bacon, hamburger, quiches salate e dolci, cheesecake, verdure crude e cotte (soprattutto alla piastra), frutta, dolci e dolcetti d’ogni genere.
In verità gli inglesi rivendicano la primogenitura citando l’abitudine diffusa alla sostanziosa colazione che fin dai secoli precedenti era servita ai cacciatori durante la faticosa battuta alla lepre: una colazione-pranzo che vedeva i cavalieri apparecchiati sull’erba dopo la sfiancante corsa al seguito della selvaggina in fuga.
Indipendentemente dalle origini più remote, sono stati però gli americani ad imporre il brunch moderno, una proposta che non ha faticato in pochi anni a passare dagli alberghi alle case, esaltando proprio in questo passaggio un altro elemento centrale e di successo: l’aspetto comunitario del desco ndomenicale.
Il brunch infatti non si consuma mai da soli, è sempre l’occasione, a casa per riunire la famiglia allargata e gli amici. ed in albergo per stringere rapporti e festeggiare nel segno della libertà d’abbigliamento, d’orario e di menù.
Passando l’oceano ed approdando quindi prima nelle grandi città europee ed ora un po’ dovunque anche in Italia, il brunch ha ancor di più ampliato la propria proposta con piatti cucinati, massimamente la pasta, ma pure i secondi, con una attenzione non marginale ai dolci.
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