Violenza sessuale a Collio, ipotesi protezione umanitaria per le vittime

Dopo il dramma nel centro migranti di San Colombano, così il sistema di accoglienza dovrà farsi carico di madre e figlia
Un bambino migrante accolto da una volontaria - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Un bambino migrante accolto da una volontaria - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Un episodio tanto grave quanto eccezionale. C’è sgomento nel mondo bresciano dell’accoglienza dopo la sconvolgente notizia degli abusi sulla bambina di dieci anni al centro migranti di San Colombano di Collio, in alta Valtrompia. L’auspicio di tutti è che ora mamma e figlia possano godere di tutta l’assistenza e di tutti i servizi di cui hanno bisogno.

Tra le ipotesi vi è quella della «protezione umanitaria», caldeggiata dall’avvocato Stefano Afrune, alfiere dei diritti dei migranti. «Ci troviamo di fronte a un episodio di gravità inaudita – commenta Antonio Trebeschi, referente del Coordinamento provinciale dei progetti Sai bresciani e quindi tra i massimi esperti di accoglienza –. Dal 2014 mi occupo di migranti e mai mi sono imbattuto in storie così terribili. Per fortuna non è un episodio comune: quello che non va fatto adesso è cavalcare quanto successo per far passare l’idea che i centri vadano tutti chiusi. L’immigrazione va gestita e bisogna farlo nel modo più intelligente possibile».

Come funziona l’accoglienza

Attualmente sono due le modalità per accogliere i migranti. Da un lato ci sono i Cas (Centri di accoglienza straordinaria), che sopperiscono alla mancanza di posti nelle strutture ordinarie. Dipendono dalle prefetture, che poi affidano i servizi tramite bandi a realtà che operano sul territorio. È proprio questo il caso di San Colombano. Dall’altro lato ci sono i Sai (Sistema di accoglienza e integrazione, gli ex Sprar), di cui sono titolari i Comuni.

«Il sistema Sai ha dato tanti frutti positivi in questi anni – rimarca Trebeschi – grazie alla migliore distribuzione territoriale e alle tante attività nell’ottica dell’integrazione: dai corsi di alfabetizzazione e di formazione all’assistenza psicologica e legale. Tutte cose che nei Cas sono state tagliate. La permanenza nei Sai costa 40-45 euro al giorno, nei Cas è scesa da 35 a 18».

Tra le possibilità nel futuro della mamma e della bambina, attualmente in un centro antiviolenza, vi è proprio quella di accedere a un Sai: nella nostra provincia ne sono attivati dodici, ognuno con un ente territoriale a fare da capofila. «Il Sai potrebbe essere un supporto importante – rimarca Carlo Cominelli, presidente della cooperativa K-Pax – ma non basta: mi auguro che vi sia una presa in carico dei servizi territoriali e che siano assistite come i residenti italiani».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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