Strage piazza Loggia: i depistaggi, le altre vittime e i silenzi

A Messi a fuoco su Teletutto il focus. Arcai: «C’è chi ha subìto processi ingiustamente». Milani: «La destra metta in discussione quegli anni»
Messi a fuoco - Puntata del 11/04/2025
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Alla vigilia del suo cinquantunesimo anniversario, complici i processi che in queste settimane, dopo matrice, mandanti e coperture delle quali hanno goduto, stanno facendo luce sui presunti esecutori materiali, la Strage di piazza della Loggia torna a far parlare di sé. Probabilmente come non accadeva da anni.

Verità e rabbia

La condanna a trent’anni pronunciata dal tribunale dei minori a carico di Marco Toffaloni, neofascista veronese sedicenne all’epoca dei fatti, e la testimonianza di Ombretta Giacomazzi al processo a Roberto Zorzi, l’altro presunto esecutore materiale dell’attentato del 28 maggio 1974, hanno riposizionato al centro del dibattito il tema dei depistaggi che hanno tenuto (e tengono) in ostaggio la verità.

Se n’è parlato anche nella puntata di «Messi a fuoco» andata in onda su Teletutto ieri sera. Ospiti di Andrea Cittadini in studio c’erano il presidente dell’associazione dei famigliari delle vittime della Strage Manlio Milani, l’avvocato Andrea Ricci, patrocinatore di parte civile sin dalle primissime battute, e l’avvocato Sergio Arcai, figlio del giudice Giovanni Arcai e fratello di Andrea Arcai che, non ancora sedicenne, fu ingiustamente incarcerato proprio per la Strage.

«La condanna di Marco Toffaloni - ha detto Milani all’esordio - è la conferma che tutti sapevano tutto poche ore dopo. E questo è un motivo di grande amarezza. E per due ragioni. La prima perché ci sono voluti cinquant’anni e lo sforzo immane della magistratura per arrivare a risultati che si potevano avere subito. La seconda è che se quelle verità non fossero state coperte sin dall’inizio, non ci sarebbe stata la strage dell’Italicus con tutte quelle vittime».

Vittime e silenzi

Se la «malavita istituzionale» - come la definisce la sentenza di condanna a titolo definitivo di Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte - non avesse messo le mani sulla verità nel tentativo, riuscito, di affossarla, non ci sarebbero state anche altre vittime, quelle collaterali, quelle che non hanno pagato con la vita in piazza, ma hanno comunque versato il loro tributo.

Stando alle affermazioni di Ombretta Giacomazzi tra queste c’è la famiglia del giudice Giovanni Arcai, a partire da Andrea. Lunedì in aula la testimone ha detto che l’allora capitano dei carabinieri Francesco Delfino la mise davanti ad un bivio: o accusare il figlio del giudice o finire a processo con l’accusa di concorso in strage.

Cinquantun anni dopo Giacomazzi ha detto che non conosceva Andrea Arcai e che comunque non c’entrava nulla con la Strage. «Davanti a queste affermazioni non si può che provare profondo disgusto, anche se le dichiarazioni della testimone non sono nuove. Sappiamo da tempo - ha detto Sergio Arcai - cosa c’era dietro le false accuse a mio fratello e a tante persone che sono state sbattute in carcere e ci sono rimaste mesi per non aver detto quello che volevano sentirsi dire. Si ha almeno idea di quello che passa una persona che vive con l’accusa ingiusta di avere fatto una strage? Degli incubi che vive? Dei costi che comporta affrontare un processo di questo tipo? Nessuno ha mai chiesto scusa alle vittime dei processi».

«È un dolore che capisco - ha replicato Milani - ma credo che non ci sia bisogno di ricordare a nessuno che ci sono persone che hanno avuta la vita troncata in un attimo per volere politico di una parte, in questo caso dalla parte dell’eversione di destra. E non mi pare che da destra, dalla destra bresciana che quegli ambienti ha frequentato, qualcuno abbia messo in discussione quegli anni. La sinistra ha messo il suo album di famiglia sul tavolo, la destra no. Se vogliamo avere un ruolo diverso, capire e ricostruire quegli anni per come sono stati, bisogna superare la logica di contrapposizione che finisce per azzerare la storia. Io personalmente l’ho fatto, ho chiesto un confronto anche con Tramonte, lui l’ha rifiutato.

Come Casa della Memoria abbiamo cercato il dialogo e il confronto con tutti, ricordato tutte le vittime di tutti i terrorismi. Il nostro l’abbiamo fatto. In cambio cosa abbiamo ottenuto: l’apertura di una sezione dei giovani di Fratelli d’Italia intitolata a Pino Rauti. Proprio qui, proprio a Brescia».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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