Strage di piazza Loggia: «Toffaloni? Un violento, sempre armato»

A dirlo al giudice nel corso del processo Nicola Guarino Lo Bianco, che frequentava il gruppo di Ordine Nuovo di Verona. Sentito anche Gianpaolo Martinelli
Piazza Loggia dopo la strage - Foto © www.giornaledibrescia.it
Piazza Loggia dopo la strage - Foto © www.giornaledibrescia.it
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In attesa che le autorità elvetiche facciano sapere se accompagneranno o meno Marco Toffaloni al cospetto dei giudici che lo stanno processando per la strage di piazza della Loggia, e che compaia anche suo fratello Paolo, chiamato a testimoniare, ma al momento irrintracciabile e assente anche ieri nonostante il secondo tentativo di portarlo in aula a testimoniare, il processo all’allora minorenne accusato dell’attentato che provocò la morte di otto persone e il ferimento di altre 102 è arrivato ad un importante traguardo: con quelli di ieri il sostituto procuratore Caty Bressanelli ha esaurito l’esame dei suoi testimoni.

A partire dalla prossima udienza, in calendario il 31 ottobre prossimo, toccherà al difensore di Toffaloni, l’avvocato Marco Gallina, giocare le sue carte.

Ieri sono stati sentiti Nicola Guarino Lo Bianco e Gianpaolo Martinelli. Il primo frequentava il gruppo di Ordine Nuovo di Verona e fu arrestato in seguito degli scontri avvenuti in città in occasione del funerale di Silvio Ferrari. Al presidente Federico Allegri ha detto che conosceva Marco Toffaloni e che lo conosceva come un giovane pronto all’azione, disposto a menare le mani, abituato ad andare in giro armato. Oltre a confermare l’iperattività di «Tomaten» e ad affermare di aver visto la cantina nella quale il neofascista veronese teneva il suo arsenale, ha anche spiegato di aver lasciato l’ambiente ordinovista subito dopo essere stato rimesso in libertà. «Mio padre mi spedì in collegio a Teramo» ha spiegato Lo Bianco e «da allora ho perso ogni contatto con il giro».

Gianpaolo Martinelli, invece, ha riportate le lancette della storia al 18 maggio 1974, l’ultimo giorno in vita di Silvio Ferrari. Ha parlato di quel pomeriggio passato proprio con Silvio e con Nando Ferrari, ha detto di essere stato in auto con loro proprio quel giorno e di averli sentiti parlare di una miccia.

Il teste ha riferito anche che dopo la morte di Silvio Ferrari, Nando parlava di lui come di uno che faceva attentati e che era morto proprio mentre si accingeva a farne uno. Il che stride con quanto affermato dallo stesso teste, ovvero che a far saltare in aria Silvio fossero stati «i rossi».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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