Strage di piazza Loggia, Nando Ferrari: «Accuse a Toffaloni? Una forzatura»

Oggi in aula la testimonianza dell’ex dirigente del Fronte della Gioventù, arrestato e poi assolto nella prima inchiesta sull’attentato neo fascista del 28 maggio 1974
Arnaldo Trebeschi disperato vicino al corpo del fratello Alberto, ucciso dalla bomba in piazza della Loggia
Arnaldo Trebeschi disperato vicino al corpo del fratello Alberto, ucciso dalla bomba in piazza della Loggia
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È ripreso questa mattina davanti al tribunale dei minori di Brescia il processo a carico di Marco Toffaloni, ritenuto uno degli esecutori materiali della Strage di Piazza della Loggia quando era ancora minorenne. Cittadino svizzero, sulla sua posizione lo stato elvetico ha già detto no al trasferimento coattivo in aula ritenendo il reato prescritto.

In aula oggi, nel corso dell’udienza a porte chiuse, ha testimoniato Nando Ferrari, all’epoca dirigente del Fronte della Gioventù arrestato e poi assolto nella prima storica inchiesta sull’attentato neo fascista del 28 maggio 1974, mentre venne condannato per omicidio colposo per la morte di Silvio Ferrari, il 21enne che morì una settimana prima della Strage per l’esplosione di una bomba che stava trasportando sul pianale della Vespa.

«Il nuovo processo? Ritengo che si tratti di una sorta di riesumazione giudiziaria, nel senso che c'è qualcuno che nell'ombra sta andando a pescare tutti i vecchi testimoni che sono stati indicati da varie sentenze come inaffidabili, li sta in sostanza ricicciando per ottenere nuove dichiarazioni che, se non erano attendibili 50 anni fa, sicuramente non lo possono essere neanche adesso» ha detto Ferrari lasciando il tribunale.

Su Toffaloni

Su Toffaloni, accusato di concorso in strage ha spiegato: «Non l’ho mai visto in vita mia. L'unica cosa che ho pensato quando ho visto quale sarebbe la teoria accusatoria è che mi sembra molto strano che uno che viene a mettere una bomba si fa fotografare in mezzo alla folla che deve essere vittima di quella stessa bomba, cioè se uno mette un ordigno cosa ci fa poi in mezzo alla folla che aspetta di vedere l'esplosione, rischiando anche di ferirsi. Uno che mette un ordigno probabilmente scappa a gambe levate appena l'ha fatto questa cosa, quindi mi sembra anche questa una cosa un po' forzata».

È inverosimile, secondo lei, quindi questa ipotesi che siano gli esecutori materiali dell'attentato?

«Oddio, che un ragazzo di 16 anni sia l'esecutore di una cosa così mi sembra veramente molto strano, anche perché la cosa ancora più strana è che si parla di servizi segreti, deviati, la sede Nato eccetera, come se loro non avessero i mezzi da soli per compiere un atto di questo genere utilizzando gente più affidabile di un ragazzino di 16 anni – ha continuato –. Ragionamenti che fa il comune cittadino leggendo l'articolo del giornale, non è che lo devo fare io.

Io non posso dare contributi su cose che non conosco, ovviamente, io non posso fare altro che ribadire quella che è la mia posizione, che è sempre stata quella perché da 50 anni ripeto le stesse cose. Ero un giovane attivista di Fronte alla Gioventù, facevo volantinaggi, attaccavo i manifesti, facevo queste cose qui ma niente di più. Silvio Ferrari purtroppo aveva preso una strada brutta, pericolosa, non lo sapevo, nessuno del nostro ambiente ne era conoscenza, tanto è vero che rimanemmo tutti allibiti alla notizia della sua morte».

E ha continuato: «Essendo molto debole di carattere era piuttosto condizionabile e forse era stato coinvolto in qualche brutto giro: io ero su un piano di azione completamente diverso uno che va a fare atti di terrorismo e questo alla fine la magistratura l'ha capito, tanto è vero che sono stato assolto in tutti i gradi di giudizio. Alla fine hanno ricavato una sentenza proprio in zona Cesarini per la vicenda di Silvio Ferrari, dandomi il massimo della pena  ma adesso per un omicidio colposo non si va neanche più in carcere.

Sui processi

Questo solo perché bisognava mettere a tacere tutto lo schifo che è stato fatto nella prima inchiesta. Quella che ha visto protagonista il capitano Delfino, la cui presenza è stata definita dai giudici. Nella sentenza d'appello viene definita una presenza inquietante, perché era sempre presente in carcere, andava a trovare i testimoni dando suggerimenti su cosa dovevano dire e cose di questo genere.

Quindi tutta quell'inchiesta che ha portato a un record nazionale, che non è mai stato battuto per fortuna, di 38 testimoni arrestati per reticenza. Si pensi che al maxiprocesso per mafia a Palermo, quello fatto al Palazzetto dello Sport, con 600 imputati, ci furono 3 arresti per reticenza».

E conclude: «Spero che finisca come sempre o quasi sempre con una soluzione degli imputati se sono innocenti, perché dopo 50 anni tenere della gente ancora sul filo del rasoio per una cosa che non hanno fatto è tremendo, anche se loro non stanno patendo il carcere che ho subito io».

E non stanno neanche partecipando al processo. «Sì, non stanno partecipando al processo ma credo che sia una questione procedurale, perché da quello che mi ha spiegato un amico avvocato, questo Toffaloni, essendo minorenne all'epoca dei fatti, in Svizzera non potrebbe adesso finire in carcere, mentre in Italia in teoria con le leggi italiane, che sono un po' diverse, sì –  le parole di Nando Ferrari –. Quindi dalla Svizzera potrebbe secondo me anche collegarsi in teleconferenza».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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