Spopolamento, la strategia per le aree interne ibernata da 10 anni

Si chiama Snai e a proporla, nel 2012, era stato l’ex ministro del Sud e della Coesione territoriale Fabrizio Barca. I report della spesa, però, sono impietosi
Magasa, uno dei comuni più piccoli del Bresciano - © www.giornaledibrescia.it
Magasa, uno dei comuni più piccoli del Bresciano - © www.giornaledibrescia.it
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Un documento con i crismi dell’ufficialità per quelle che sono state ribattezzate «le aree interne», in realtà, esiste. Ha anche un nome: si chiama Snai (acronimo, appunto, di Strategia nazionale aree interne), e a proporla, nel 2012, era stato l’ex ministro del Sud e della Coesione territoriale Fabrizio Barca (il governo era quello presieduto da Mario Monti). L’obiettivo era schietto e tutto sommato aveva incontrato l’accordo di tutti gli attori: non spargere fondi o calare dall’alto un programma uniformato, ma progettare insieme a comunità e amministratori locali una serie di piani specifici in grado di aumentare l’offerta di servizi, scommettendo che nel lungo periodo questo potesse frenare lo spopolamento.

I risultati finora

Come è andata? I sindaci lo sanno meglio di tutti, ma per capirlo bisogna guardare i report della spesa della «Strategia aree interne» su Open Coesione (spoiler: sono, se non drammatici, quantomeno impietosi): dal 2014 a oggi, siamo all’11% di progetti conclusi, al 4% di progetti liquidati, al 29% (su 1.904 proposte monitorate) di progetti non avviati. Nel 2022 risultavano approvati gli iper-burocratici accordi quadro delle 72 aree pilota coinvolte, per un totale di circa mille Comuni (alle quali avrebbero già dovuto aggiungersene altre), per un valore degli interventi pari a 1,2 miliardi tra risorse europee e nazionali. Ma la quota effettivamente sborsata è ferma all’11,6%, una lentezza anche superiore a quella con cui l’Italia (non) spende gli altri fondi comunitari o con cui li spende ad anni e anni di distanza.

L’impressione è che – anche a distanza di tempo e nonostante i diversi passaggi di testimone dei partiti al governo – la rotta non si sia effettivamente mai invertita e che, quindi, nonostante il dossier abbia compiuto dieci anni non abbia scalato l’elenco delle priorità. Tanto è vero che il Comitato aree interne, al momento, a livello nazionale non ha un coordinatore e non siede al tavolo di lavoro da più di due anni.

Verso il 2027

Una notizia buona? Eccola: stando a quanto fa sapere il Ministero non si vuole cancellare la Strategia. La Snai, infatti, rientra nella nuova programmazione dei fondi europei al 2027, con 54 nuove aree aggiunte. In assenza di una regia a Roma, però, la palla se la sono ripresa le Regioni e in questo passaggio ci sono un aspetto positivo e uno negativo: quello positivo è che, di solito, l’iter regionale è più snello e pratico rispetto alla pachidermica burocrazia nazionale; quello negativo è che le Regioni procedono a velocità distantissime e disomogenee tra loro, alimentando così divari territoriali che la stessa Snai sperava di superare.

Epilogo: all’inizio di agosto, il governo ha incardinato nelle varie agende il confronto sulla bozza di un nuovo Piano che dovrebbe togliere la polvere dalla strategia approntata ormai oltre dieci anni fa, aggiornandola (depennando i, seppur piccolissimi, passi compiuti) e, soprattutto, dandole una governance. Resta da capire se anche questa corsa si fermerà sulla carta, oppure se stavolta sarà tradotta in pratica. 

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