Spanò: «A Brescia ora non si trovano braccialetti elettronici»
Con l’approvazione del disegno di legge Roccella – entrato in vigore nel novembre 2023, ha introdotto l’applicazione automatica della misura del braccialetto elettronico nei casi dei cosiddetti «reati spia» (stalking e maltrattamenti) – l’utilizzo del braccialetto elettronico come misura di prevenzione dei femminicidi ha avuto una vera e propria impennata.
A Brescia
«Dai circa 1200 braccialetti elettronici utilizzati prima in Italia, si è passati a oltre 4mila. Peccato però che a Brescia, attualmente, non ce ne siano disponibili». A dirlo è stato ieri sera, Roberto Spanò, presidente della Prima sezione penale, nel corso della trasmissione condotta da Andrea Cittadini, Messi a fuoco, in onda su Teletutto. Al netto dei malfunzionamenti dei dispositivi di cui si parla in queste settimane, che hanno impedito di salvare la vita di Camelia Ion, Celeste Palmieri e Roua Nabi, uccise dai rispettivi partner, il braccialetto elettronico è giudicato comunque una misura efficace.
I pareri
Secondo Carmelo Alba, dirigente anticrimine della Questura di Brescia, «il braccialetto rimane un presidio necessario che sta avendo ottimi risultati e ha grandi effetti di deterrenza. Purtroppo le criticità non mancano ma è uno strumento di tutela e prevenzione».
Criticità che l’avvocato Beatrice Ferrari, da sempre impegnata nella difesa delle donne vittime di violenza domestica, individua anche nella distanza che lo stalker dovrebbe mantenere dalla vittima: «Cinquecento metri – ha spiegato il legale – sono davvero pochi e anche per questo molte donne preferiscono comunque isolarsi perché, di fatto, non si sentono sicure».
I rischi
Il rischio, quindi, è che anche se funziona, difficilmente il braccialetto elettronico possa davvero fermare la mano di un potenziale omicida. «I femminicidi – ha concluso l’avvocato Massimiliano Battagliola – sono poi solo la punta dell’iceberg di vicende che nascondono per anni violenza fisica e psicologica che le donne subiscono in casa. Su questo aspetto c’è un grande lavoro di prevenzione che bisogna fare partendo anche dalle scuole. Serve un cambio culturale».
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