Sottratti 780mila euro dall’azienda: dipendente patteggia 2 anni
Ha patteggiato una pena di 2 anni (sospesa) per furto e ricettazione. Era finito nei guai per aver sottratto dal 2015 al 2019 più di 780mila euro dai conti dell’azienda in cui lavorava. Società di mangimi per animali, che ha sede nella Bassa bresciana. Il Tribunale ha disposto anche un risarcimento da 70 mila euro al legale rappresentante della società (parte offesa a processo). Ma in questa vicenda non c’è soltanto il filone penale. Per la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia (dopo lo stesso verdetto in primo grado) non deve pagare le imposte sui presunti profitti illeciti, come riportato nel provvedimento dell’Agenzia delle Entrate.
Il processo penale
L’imputato, 59enne di casa a Lograto, finito a processo insieme ad altre persone, avrebbe ingiustamente effettuato 33 bonifici a favore di due società per 787.613, «facendoli apparire fraudolentemente come pagamenti verso fornitori o anticipo fatture», quindi se ne sarebbe «impossessato» sottraendoli all’azienda. Ma l’uomo, difeso dall’avvocato Giambattista Scalvi, ha sempre sostenuto che quei soldi non fossero per lui. L’uomo è finito nei guai anche per ricettazione. Le altre due indagate (assolte entrambe), titolari o liquidatori delle due società beneficiarie del denaro sottratto all’azienda, avrebbero poi girato oltre 608 mila euro «a favore di soggetti terzi beneficiari e in pagamento di prestazioni con causale non meglio specificata». Ben 157.250 euro sarebbero stati girati a un quarto indagato, che ha ottenuto la messa alla prova. Dopo due tentativi andati a vuoto, il 59enne ha patteggiato una pena a 2 anni.
L’aspetto tributario
Sia in primo grado che in secondo i giudici della Giustizia tributaria hanno dato ragione al 59enne, contro il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate che aveva accertato redditi diversi per oltre 210mila euro, rideterminando il reddito complessivo ai fini Irpef e relative addizionali in 248mila euro, irrogando una sanzione amministrativa pari a 127.627 euro. «I giudici di prime cure hanno evidenziato come non vi sia alcuna prova che i bonifici potevano essere effettuati unicamente dal contribuente – si legge nel dispositivo – e che siano stati fatti di sua iniziativa, il quale peraltro figurava in ferie nei giorni in cui ne furono disposti sei. Sebbene dipendente, con la mansione di responsabile amministrativo, comunque sprovvisto di cariche dirigenziali e quindi della facoltà di assumere poteri decisionali, non è nemmeno detto che le semplicissime, ma artificiose, contabilizzazioni siano state da lui architettate e poste in essere».
Le motivazioni
Ma c’è un passaggio della sentenza ancora più importante, nel quale ribadiscono quanto affermato dai giudici di primo grado, coinvolgendo anche il titolare della società: «Il responsabile del meccanismo fraudolento, sapientemente architettato, non può che essere individuato, in primis, nel legale rappresentante della società che, se non da lui poste in essere, quale delegante, aveva l’obbligo di controllo sull'attività del soggetto delegato, quindi a titolo di 'culpa in vigilando', pure riguardo alle artificiose scritture contabili che potrebbero essere state effettuate dal contribuente ma, probabilmente, su volere o ordine non scritto di terzi, vista la subordinazione del rapporto di lavoro».
«Non meno rilevante è quanto correttamente evidenziato – sottolineano ancora i giudici di secondo grado – dalla difesa dell'appellato in sede di controdeduzioni, laddove sottolinea come proprio il richiamo all'ordinanza del Tribunale del Riesame smentisca la ricostruzione semplicistica dell’Ufficio». E ancora:«Anche laddove fosse riconosciuta la sua responsabilità penale (dell’imputato che ha patteggiato, ndr) solo una piccola parte delle somme sottratte alla società potrebbe a lui imputarsi come reddito diverso (provento illecito) derivante dalla sua corresponsabilità nei fatti contestati, e sempre che questo non venga sequestrato dall'autorità giudiziaria».
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